giovedì 27 ottobre 2016

GORINO; Cronaca di una strumentalizzazione senza più vergogna

Gorino, Calais e “l’euforia da naufraghi”. Cronaca di una strumentalizzazione senza più vergogna

Evito di addentrami nella vicenda di Gorino, la piccola frazione di Goro che ha visto metà della popolazione – circa 300 persone su 600 residenti – scendere in strada ed ergere barricate per evitare l’arrivo nel locale ostello di 11 donne, di cui una incinta e 8 bambini. Ovviamente, la propaganda imperante dell’accoglienza a tutti i costi ha intinto il pane dell’ipocrisia in questa vicenda, assurda nella sua proporzione d’impatto -un paesino e venti persone fa accogliere – ma paradigmatica di una situazione sfuggita di mano. Gli abitanti hanno saputo solo 6 ore prima del loro arrivo che il Prefetto aveva requisito l’ostello per accogliervi dei migranti e ne conoscevano il numero, non che fossero donne e bambini. Potevano essere venti nigeriani con fisico da mobile dell’Ikea, per quanto ne sapevano. Perché non sapevano: decide il prefetto sulle teste di tutti.

E’ ovvio che guardando al telegiornale i volti di quelle donne e quei bambini ci si pone delle domande e ci si sente spiazzati nel giudicare quell’atto così estremo, almeno nell’immaginario della nostra società cloroformizzata al principio stesso di rivolta e reazione ma se c’è una cosa che non va fatta è cedere all’emotività. Perché quando uno come Matteo Renzi arriva a dire, “difficile giudicare la situazione, la popolazione è stanca” significa due cose. Primo, il suo grado di paraculaggine in vista del referendum e nella lotta con l’Ue per poter sforare i limiti nella manovra non ha davvero argine di decenza. Secondo, ha capito che la proverbiale corda si è spezzata. Per la prima volta, senza conseguenze gravi o violenze ma si è rotta.


E a offrire un grosso contributo a quello strappo sono state, oltre alla dissennata politica di porte aperte del governo, persone come il prefetto Mario Morcone, il quale intervenendo ai microfoni del Gr1 Rai, ha dichiarato quanto segue: “È un amaro ricordo che quei cittadini si porteranno appresso a lungo. Gli italiani che rifiutano l’aiuto doveroso a donne e bambini sono ottusi, mi vergogno di averli come connazionali. Se non vogliono vivere nello stesso posto dove diamo accoglienza ai profughi, andassero a vivere in Ungheria. Noi staremo meglio senza di loro”. Ora, un rappresentante dello Stato che vede il suo lauto stipendio pagato anche dai 600 abitanti di Gorino si permette di dire una cosa del genere, senza che il Viminale lo rimuova immediatamente o lo richiami?

Un prefetto che prefigura, per vergogna verso le scelte pur contestabili di suoi connazionali, il loro espatrio e l’accoglienza al loro posto di migranti, ha ancora il suo posto di lavoro? Solo in Italia. Si può dire che non si è d’accordo ma non si può trascendere, se si rappresenta lo Stato. Lo stesso Stato che ha fatto entrare da inizio anno 153mila persone, l’80% delle quali senza alcun requisito per restare in Italia. Di fatto, clandestini. E il prefetto, cioè lo Stato, cosa fa? Attacca i cittadini italiani, invece di evitare che le nostre città diventino dei campi profughi a cielo aperto.



Perché è ovvio che le 20 persone che dovevano andare a Gorino non avrebbero creato problemi ma è l’idea stessa che lo Stato requisisca uno stabile privato e decida chi deve entrarci che non è accettabile per la popolazione di un Paese di 600 anime, così come di una metropoli come Milano che tra poco vedrà riempirsi di clandestini la caserma Montello. Questa

è la circolare con cui la Prefettura di Verona requisiva un albergo privato per le “urgenti ed indifferibili necessità di alloggiare e gestire” i profughi. Grazie ad una legge che risale all’Ottocento, infatti, i prefetti possono “per grave necessità” disporre della proprietà privata dei cittadini e adottare provvedimenti di requisizione di strutture private. Inoltre, appare molto facile adesso sventolare le barricate di Gorino come l’archetipo del razzista medio italiano e appiccicare quella definizione addosso a chiunque si rifiuti di subire un’invasione, soprattutto perché evita di fare vedere come siano ridotte le periferie di Milano e Roma, completamente al collasso e senza più strutture in grado di reggere il minimo sindacale di accoglienza organizzata e gestita in sicurezza. Lo ha ammesso il sindaco Beppe Sala, non un pericoloso estremista di destra.

A volte una Gorino oggi, senza violenza, può far spaventare la politica ed evitare che nasca una Calais, dopo sono in corso le operazioni di sgombero dalla famigerata “giungla”. Sono usciti già in 4mila ma adesso viene il difficile. Oltre al ricollocamento nei centri di accoglienza su tutto il territorio francese (e state certi che i simpaticoni d’Oltralpe, se potranno, spingeranno un po’ di quegli immigrati verso il nostro confine Nord), ci sono gli irriducibili, circa un migliaio, che ancora non accennano a lasciare il campo. La scorsa notte sono scoppiati diversi incendi nella zona dove si trovano i ristoranti, il fuoco ha fatto esplodere almeno due bombole a gas e un siriano è rimasto leggermente ferito al timpano. Le immagini diffuse in diretta dai canali all news francesi sono impressionanti e mostrano fiamme e fumo ma la prefettura si mostra rassicurante.

Stando alle autorità transalpine, gli incendi volontari rientrano nel quadro di una tradizione dei migranti. Il fuoco sarebbe infatti un modo per “dire addio” alle loro capanne: , ha detto il prefetto di Calais. Anche in Francia, a prefetti sono messi bene. Mi attendo a breve consegne su larga scala e pagate dall’Ue di Diavolina per facilitare i migranti nel loro rituale, mettendo contestualmente a rischio l’incolumità dei cittadini francesi che abitano nelle vicinanze. Tanto più che lo stesso Didier Leschi, direttore generale dell’ufficio francese per l’immigrazione e l’integrazione, intervistato in diretta da BFM-TV ha invece lanciato l’allarme: “Quello che sta succedendo è preoccupante, qualcosa di molto più serio di quanto si pensi. I pompieri stanno intervenendo per domare il fuoco che può essere pericoloso”. Ma come fai a negare ai migranti le loro tradizioni?

Come vedete nel titolo ho usato l’espressione “euforia da naufraghi”. E’ presente nel libro di Julius Evola, “Cavalcare la tigre” e si riferisce alla sensazione di disperazione tipica di chi non sa quale sia il suo destino e che si tramuta in euforia, quasi in un’ultima danza prima del precipizio: per Evola era la peggior pulsione del nichilismo che attecchiva in quella che nella tradizione indiana si chiama Kaly-Yuga, l’età oscura, ultima fase di un ciclo temporale.

E se ci pensate, fra crisi finanziaria ed economica, focolai sempre più diffusi di guerra, fenomeno migratorio e, non ultima, la rinnovata contrapposizione Est-Ovest, siamo davvero nella fase terminale di un’epoca, siamo davvero nell’età oscura. Bene, a Gorino hanno semplicemente deciso di dire basta all’euforia da naufrago, droga di ogni governo di questo Paese e mandare un segnale alle istituzioni: adesso basta.

Finora, infatti, in Italia abbiamo ballato sul Titanic di un debito pubblico fuori controllo grazie alle prebende e alle mance, grazie agli 80 euro, ai voucher e al nero, ai contratti farsa fino alle false partite Iva agli stage non retribuiti alla delocalizzazione e quant’altro, al posto fisso che si tramuta in privilegio e all’assenteismo. Ma anche grazie agli acquisti a rete, al credito al consumo, alle carte di credito e revolving, alle finanziarie, al desiderio di ciò che non ci serve e non ci possiamo permettere ma che ci fanno desiderare per essere come loro. Morti ma con abbigliamento alla moda. Ora, invece, la parte sana e produttiva del Paese, che è la maggioranza e ha la faccia di chi ha passato la notte si quelle barricate senza torcere un capello ad alcuno (a differenza degli antagonisti), sta raschiando il fondo del barile del rischio sociale, ora l’Italia sa – in sempre più ampie fasce di popolazione – cosa sia davvero la povertà, cosa significhi fare la coda alle mense della Caritas. Non il faticare per arrivare al 27 del mese ma non arrivare al 10, una volta pagato tutto il dovuto. E, magari, conosce il pane nero dell’umiliazione e la tragica scorciatoia del suicidio, come tanti imprenditori che hanno visto i loro capannoni passare da orgoglioso esempio di impegno e deserto di tasse e lettere di licenziamento da consegnare.

A Gorino non avevano paura di 11 donne e 8 bambini, avevano paura di cosa rappresentavano: il rischio di perdere, in prospettiva e guardando a cosa accade a Calais o in Germania, anche l’ultima cosa che si possiede. La propria terra e la propria vita, intesa come Weltanschauung e non come bene materiale, nonostante piaccia molto la declinazione malavogliana della difesa gretta della propria “roba”. L’Heimat dell’anima, prima che della carta d’identità. Così come l’anomìa, il caos, la trasgressione, l’anarchia diventano per l’evoliano occasioni per temprarsi in età oscura, così – più prosaicamente e senza certamente coscienza filosofica del gesto – quell’ordine di requisizione dell’ostello calato dall’alto da uno Stato visto come nemico, ha innescato la rivolta del popolo contro le istituzioni in nome di un’inconsapevole apolitìa, come la chiama Evola o “scelta impolitica”, come invece l’aveva definita Thomas Mann. Un gesto rivoluzionario, un gesto di autodifesa. Un gesto da non sottovalutare. E le parole di Matteo Renzi dimostrano che ha colpito nel segno. Indicando la luna, non chiedendo un giudizio sul dito.



http://www.rischiocalcolato.it/2016/10/gorino-calais-leuforia-naufraghi-cronaca-strumentalizzazione-senza-piu-vergogna.html



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