sabato 9 maggio 2015

"La Storia Infinita, un Romanzo Esoterico"

Vi è mai capitato di leggere questa frase? Se ne portate anche vaga memoria, probabilmente siete tra i fortunati lettori ad aver sfogliato e amato un curioso romanzo in 26 capitoli, capeggiati da grandi capolettere decorate e rigorosamente in ordine alfabetico, fatti da pagine a volte scritte in rosso rubino e altre in verde smeraldo....

Al contrario, se questa frase non vi dice nulla, significa allora che avrete senza dubbio sentito parlare di una certa “Storia Infinita”, ma, sfortunatamente, solo tramite la sua versione cinematografica, oltretutto cordialmente detestata dal suo stesso autore, Michael Ende. «Auguro la peste ai produttori. Mi hanno ingannato: quello che mi hanno fatto è una sozzura a livello umano e un tradimento a quello artistico». Questo fu il feroce commento rilasciato da Michael Ende, demiurgo di Fantàsia e padre letterario de `La Storia Infinita`, dopo la prima dell’omonima pellicola cinematografica. Nel 1982, appena tre anni dopo l’uscita del romanzo, Michael Ende aveva infatti firmato il contratto per la sua trasposizione filmica, apprendendo tuttavia solo in seguito delle enormi modifiche che la produzione e la regia di Wolfgang Petersen avevano deciso di apportare al testo originale; tuttavia, era ormai troppo tardi. Il film venne dunque proiettato nei cinema di tutto il mondo nel 1984, nonostante i disperati tentativi dello scrittore per bloccarlo; Ende arrivò addirittura a intentare un procedimento penale nei confronti dei produttori affinché il suo nome fosse eliminato dai titoli di testa, causa che però, nel 1985, perse. A parte la contestazione relativa allo svilimento cinematografico del proprio romanzo, Michael Ende non sembrò mai accorgersi in vita del proprio enorme successo internazionale; più esattamente, fece di tutto per ignorarlo! Detestò fino allo stremo, infatti, quella larga parte di critica che si ergeva a giudice del suo lavoro, prima tacciandolo di infantilismo semplicistico e poi, dopo la popolarità e il trionfo, elevandolo al rango di nuovo Goethe e trascinandolo, per l’ennesima volta, sotto gli occhi della scena letteraria mondiale. Ende, infatti, odiava essere al centro dell’attenzione, tanto che arrivò a lasciare la sua natia Germania per trasferirsi a Genzano, in Italia, finendo per trascorrere la propria esistenza fra i boschi del Monte Cagnoletto, in contemplazione di quella stessa natura che così tanto avrebbe esaltato ne `La Storia Infinita`. Ende, semplicemente, non desiderava nient’altro che fare quello per cui era nato, ovvero scrivere, riuscendo così a tradurre in parole l’irrealtà onirica che da sempre aveva accompagnato la sua esistenza. Michael Ende, in particolare, scriveva per salvaguardare un mondo interiore che l’umanità stava via via iniziando a trascurare, attirata al contrario fra le spire di un consumismo senza pietà, capace di distruggere sogni, valori ed ideali. Attanagliato dal pericolo di perdere la propria essenza, l’uomo, secondo Ende, poteva ritrovare la parte migliore di sé solo attraverso la forza rigeneratrice della fantasia, ovvero quella straordinaria qualità umana capace di creare infiniti universi paralleli e di rendere reale ciò che talvolta si può temere perfino di immaginare.


Queste e infinite altre riflessioni sono nascoste nelle pagine delle opere di Michael Ende, sotto le insospettabili sembianze di creature immaginare e personaggi fantastici, tutti abitanti mondi favolosi, in cui la sempiterna battaglia fra il Bene e il Male giunge a sembrare più viva, chiara e coinvolgente di quanto mai possa apparire nella vita reale. D’altronde, non c’è da stupirsi di un tale prodigio quando si parla di Ende, dato che, fin da bambino, fu predestinato a conoscere di prima mano tutto quanto di più prodigioso ed immaginifico la vita stessa avesse da offrirgli. Figlio del noto pittore surrealista Edgar Ende, il giovane Michael fu già da piccolo destinato a subire il fascino dell’impossibile che il padre amava infondere nei propri quadri. Vedendo fin dalla più tenera età immagini strane e oniriche appese alle pareti fu infatti naturale per Michael Ende provare l’impulso di trasporre in parole le sensazioni che tali surreali figure suscitavano nel suo animo, al contempo, però, depurandole dell’alito di morte che gravava su di esse. Ciò che più di ogni altra cosa accomunava padre e figlio, tuttavia, era l’interesse e la devozione verso la dimensione inconscia della mente umana, una forza creatrice in grado di dare un senso alla vita intera, potente al punto da collegare la dimensione reale e superficiale con la sua stessa essenza, la parte più profonda e irrazionale. Leggendo Michael Ende, quindi, non è strano che si arrivi a provare le medesime sensazioni suscitate da una tela del padre, come nel caso di `Der Dunkle und der HelleEngel`, dove un angelo bianco e un demone nero, deificazioni stesse del Bene e del Male, ingaggiano una corsa all’interno del bosco solitario di un mondo deserto; un’attitudine perenne ad accostare fra loro i più radicali opposti, presente, oltretutto, in gran parte della cultura tedesca. Per il resto, due altri grandi fattori condizionarono prepotentemente l’infanzia e la giovinezza di Michael Ende, modificando per sempre il suo modo di concepire la vita e il mondo: questi furono la scuola e il nazismo. Tutto iniziò quando Michael Ende si trasferì, insieme alla famiglia, a Kaulbach, presso Monaco di Baviera; gli affitti erano più economici, ma le case non erano certo la quintessenza del lusso, tanto che il piccolo Michael fu costretto a crescere al buio, in una stanza completamente priva di finestre, fatto che lo porterà a sviluppare una profonda comprensione per le questioni artistiche e spirituali, che verranno da lui sempre considerate di gran lunga più importanti delle privazioni dovute alla povertà materiale. Nel 1936 venne iscritto alla scuola elementare di Wilhelm, dando così il via a un dolorosissimo rapporto con gli studi che, a suo parere, non facevano altro che penalizzare le sue pulsioni creative e la sua fantasia; in proposito, nel 1941, a causa di una sospensione scolastica, arrivò a un punto tale di disperazione da tentare il suicidio. Molti altri eventi condizionarono la sua vita in quegli anni, come la morte dell’amico d’infanzia Willie – sul quale poi modellerà la figura di Bastian ne `La Storia Infinita` -, oppure come il sequestro delle opere del padre da parte dei nazisti, in quanto considerate “arte decadente” e degenerata, e perciò meritevole di essere distrutta; l’avvenimento chiave di questo periodo, tuttavia, sarà lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, il ciclone di sangue e morte destinato a devastare il mondo in cui il piccolo Michael era cresciuto e che aveva imparato a conoscere e ad amare. Mentre si trovava ospite dallo zio, Michael Ende assistette infatti al bombardamento di Monaco, durante il quale le scuole furono evacuate, per poi ritrovarsi poco dopo a Garmisch a seguito della Kinderlandverschickung; fu fortemente impressionato da questo episodio, tanto da esorcizzare i propri demoni scrivendo la sua prima poesia. In seguito, fu costretto, senza alcun addestramento, ad andare al fronte, dal quale tuttavia fuggì ben presto, sconvolto dalla morte di alcuni suoi compagni, arrivando a percorrere ben 80 chilometri a piedi nel disperato tentativo di raggiungere la madre. Una volta al sicuro, si risolverà ad entrare a far parte del Fronte Antinazista per la Baviera Libera, nel quale rimarrà fino al finire dei conflitti. Sarà solo al termine della guerra, infatti, che Ende inizierà a conseguire qualche successo personale ed artistico, riscattandosi così da tutte le difficoltà e da tutte le sofferenze provate fino ad allora. Attirato senza riserve dalla vivace realtà culturale tedesca, Michael iniziò così il suo cammino nel mondo della scrittura, in particolare grazie all’incontro con Rudolf Steiner e la sua Antroposofia, un peculiare tipo di pensiero filosofico che sosteneva la rinascita della realtà dello spirito attraverso la concentrazione e l’intuizione dell’assoluto. Nello stesso periodo Ende arrivò ad interessarsi al teatro, non come attore, ma bensì in qualità di drammaturgo, frequentando per un paio di anni un corso di formazione sulle teorie dell’arte teatrale classica e moderna. Tale apprendistato, però, finirà per risultare piuttosto deludente per Ende, abituato a livelli di istruzione più elevati, e ritrovatosi improvvisamente a recitare sopra un palco improvvisato fra la foschia alcolica e il fumo delle sigarette; ciononostante lo scrittore finirà per considerare utile anche questa esperienza, in quanto capace di abituarlo ad un approccio più realistico e quasi artigianale nei confronti del proprio lavoro. La sua prima opera letteraria, tuttavia, verrà alla luce solo nel 1958, con il titolo di `Le Avventure di Jim Bottone`; poco male, dato che, immediatamente dopo la pubblicazione, il libro riconoscerà un successo fulmineo, tanto da portare Ende a vincere il premio per la Letteratura Tedesca Infantile del 1961. Per il lavoro successivo dovranno passare ancora 11 anni, ma, anche in questo caso, l’attesa risulterà appagante, perché ecco arrivare nelle librerie `Momo`, da lui stesso illustrato, seguito poco tempo dopo da `La Storia Infinita`, il suo vero capolavoro, nonché uno fra i libri più letti del ‘900 tedesco; entrambi i romanzi finiranno per imporre definitivamente il loro autore all’attenzione del pubblico e della critica a livello planetario e a garantirgli, ancora oggi, fama imperitura. Sfogliando la bibliografia di questo eclettico e originalissimo autore, è facile identificare una costante perenne in tutte le sue opere, ovvero come tutti i suoi protagonisti siano esclusivamente dei bambini. Momo, ad esempio, è una ragazzina che sarà capace di restituire il senso del tempo e dell’autentica felicità agli uomini, mentre, allo stesso modo, ne `La Storia Infinita`, l’Infanta Imperatrice si avvarrà del coraggio di due bambini, Bastian e Atreyu, per sconfiggere l’avanzare del Nulla e salvare il regno di Fantàsia dalla sua dissoluzione. D’altronde, Ende stesso dichiarò come un mondo non abitabile dai bambini risulti estremamente crudele anche e soprattutto per gli adulti. A tal proposito, egli lottò per tutta la vita nel tentativo di preservare il fanciullo che fu, colmando in ogni modo quell’apparentemente insanabile fattura destinata a dividere l’infanzia dall’età adulta, e a determinare la linea di confine fra l’illimitato potere della fantasia e il disincanto della piatta creatura dominata dalla ragione. L’ “eterno infantile” diviene quindi l’essenza fondamentale del pensiero endeliano, l’elemento senza il quale l’uomo smette di essere tale, nonché il principale antidoto contro il deserto della civiltà, capace di defraudare il mondo di tutto il suo mistero e di tutta la sua meraviglia, condannandolo così alla distruzione. Tale filosofia che, fra le altre, esalta la funzione redentiva dell’arte, della fantasia e dell’immaginazione, è perfettamente sintetizzata nell’opera più celebre di Ende, `La Storia Infinita`, un libro che si può ben dire di non poter mai finire di leggere. Suddivisa in 26 capitoli come le lettere dell’alfabeto tedesco e, pertanto, rimandate strutturalmente le grandi opere classiche dell’epoca ellenica, come l’`Iliade` e l’`Odissea`, `La Storia Infinita` può certo affermare di aver subito uno strano destino. Esibita nei raduni ambientalisti e pacifisti degli anni Ottanta come manifesto anti-nucelare, poco dopo vide il nome di uno dei suoi protagonisti, Atreyu, diventare patrono di un partito di ben altra area; strana coincidenza, soprattutto per l’apoliticità originale con cui il romanzo venne concepito, eppure, allo stesso modo, in linea con una tradizione fantasy che viene fatta specchio postumo di una realtà materiale e pretestuosa. Come definire, dunque, `La Storia Infinita`? Si può parlare unicamente di una godibilissima storia di fantasia per adolescenti, o c’è dell’altro? Conviene ridurla, allora, a una mera miniera di citazioni, spazianti da J.R. Borges a C.S.Lewis, volta a divertire i lettori più smaliziati? Certo, entrambe queste affermazioni hanno un fondo di verità… Eppure, guardando attentamente fra le sue pagine, `La Storia Infinita` si rivela essere qualcosa di molto più sfaccettato e complesso di quanto inizialmente possa apparire. Il regno di Fantàsia, vero protagonista ne `La Storia Infinita`, è un mondo parallelo, creato dall’immaginazione dell’umanità intera e da quella di un bambino in particolare, Bastian Balthazar Bux. Bastian non è altro che un ragazzino di 10 anni come tanti altri, pallido, grassoccio e decisamente incompreso, che un giorno realizza come leggere un libro fantastico in una soffitta sia molto meglio che subire un altro giorno di bullismo a scuola. Bastian, in particolare, è attratto dal titolo del romanzo che tiene fra le mani, ovvero `La Storia Infinita`: un racconto che promette di non finire mai, infatti, sembra la scelta ideale per sfuggire dalla realtà quotidiana, sempre così complicata e dolorosa! E’ così che Bastian inizia, appunto, a leggere di Fantàsia, un luogo dai confini immensi e pieno di meraviglie, che però sta purtroppo morendo, proprio a causa di quel mondo reale che il bambino stesso tanto disprezza. Gli uomini, infatti, non sognano più, hanno irrimediabilmente dimenticato il potere della propria immaginazione, e per questo quel regno meraviglioso sta per essere inghiottito dal nemico più spaventoso che si possa immaginare: la dimenticanza, il più oscuro oblio, nient’altro che il Nulla. Salvare Fantàsia e la sua Infanta Imperatrice, anche lei fatalmente malata, quindi, può essere compito solo di una creatura innocente, pura e coraggiosa, l’unica capace di fondersi con l’essenza stessa del divino ed avere così successo in una missione fondamentalmente suicida. Chi meglio di un bambino, pertanto, può essere scelto per fare tutto questo? Sarà Atreyu, un ragazzino dalla pelle olivastra e dai capelli neri come la notte, a venir chiamato dall’Infanta Imperatrice in qualità di prescelto, destinato a scoprire la cura della sua misteriosa malattia; condannato inizialmente ad essere deriso e sottovalutato, Atreyu riuscirà ben presto a conquistarsi il rispetto che si merita, spogliandosi di tutte le sue armi e allontanandosi dall’intera società di Fantàsia pur di avere successo nella sua ricerca. Sarà così che il lettore inizierà a seguire l’eroe bambino nel proprio mitologico viaggio che, come nella più classica avventura monomitica, prevedrà il superamento di molte prove di forza e di coraggio, grazie alle quali Atreyu riscoprirà in sé la forza della speranza e della propria coscienza interiore; tuttavia, non sarà mai completamente solo nel suo peregrinare: Bastian, infatti, come noi incollato alle pagine de `La Storia Infinita`, seguirà passo a passo il suo percorso, attraversando insieme a lui pericoli e tempeste, incontrando nemici mortali e creature caritatevoli, superando tutti i propri limiti e tutte le proprie paure, in un continuo ciclo di separazione, iniziazione ed eterno ritorno. Bastian, quel bambino incompreso, che per gli adulti dovrebbe solamente scendere dalle nuvole e piantare una volta per tutte i piedi per terra, viene utilizzato da Ende per simboleggiare la fantasia e la creatività; non a caso il nome “Bastian” deriva dalla parola francese “Bastir”, ovvero “Costruire”. Durante tutto il racconto, infatti, Bastian simboleggerà la forza della mente cosciente, capace di osservare i fenomeni per poi plasmarli, in un primo momento agente attivo solo nel mondo fisico e, solo successivamente, anche nell’intangibile realtà dell’inconscio. Analogamente, Atreyu rappresenterà l’osservatore consapevole dei regni del subconscio, dei piani astrali e dei sogni. Emblematica in proposito sarà la missione che Atreyu intraprenderà, in grado di essere assimilata all’umana ricerca della saggezza interiore e della definitiva unione con il divino, un mandato da compiersi completamente soli, senza armi o protezioni di sorta. Atreyu e Bastian sono inizialmente due personaggi completamente distinti, abitanti due regni diametralmente opposti, ma, inconsapevolmente, tutti e due all’inseguimento dello stesso obiettivo, ovvero la riscoperta di sé e delle proprie illimitate potenzialità. Non solo vivranno entrambi un percorso tremendamente doloroso e significativo, ma, ironia della sorte, saranno ben presto accumunati anche dallo stesso intento, ovvero quello di salvare la vita della giovane Infanta Imperatrice, governatrice di Fantàsia. Il carattere nobile e pacifico di Bastian e la determinazione eroica di Atreyu arriveranno perciò ad unirsi, componendo così il perfetto archetipo dell’eroe, da una parte alle prese unicamente con la lettura di un romanzo e dall’altra con le lotte mortali all’interno del libro stesso. I loro mondi separati, quindi, finiranno per portare ad un’unica conclusione, per poi dividersi ancora una volta, con lo scopo di rivelare reciprocamente la verità sul proprio passato e ricostruire, infine, la propria identità. Ad un certo punto del racconto, tuttavia, giungerà il più inaspettato dei colpi di scena: Atreyu, in realtà, non è mai stato realmente chiamato per scoprire cosa affliggeva l’Infanta Imperatrice, in quanto lei ne era già perfettamente consapevole; non solo: la governatrice di Fantàsia era a conoscenza perfino della cura che le sarebbe servita per salvare il suo regno, la quale poteva provenire solo dall’essere umano che, in quel momento, stringeva fra le sue mani la `Storia Infinita`. Atreyu, quindi, realizzerà come tutta la propria prostrante ricerca non sia stata nient’altro che falsità e commedia, un puro intrattenimento, una bella avventura per attirare a Fantàsia un bambino del mondo reale, ma nulla di più. Michael Ende utilizza perfettamente questa presa di consapevolezza per modellare tutto il racconto che vedrà Atreyu protagonista nei primi 12 capitoli, rendendolo pertanto stracolmo di MacGuffins e deus ex machina. Tutte le azioni compiute da Atreyu, per esempio, saranno giustificate dal potere di AURYN, il magico amuleto donatogli inizialmente dall’Infanta Imperatrice, che lo guiderà nella sua missione senza alcuno sforzo evidente, mentre nei momenti di maggiore difficoltà e apparentemente senza via d’uscita, sarà Fùcur, il Drago della Fortuna, a correre in aiuto del nostro eroe. Analizzando la storia ancora più attentamente, inoltre, è facile accorgersi come Atreyu non arrivi mai effettivamente a risolvere nessuno dei problemi che gli si pongono man mano davanti, i quali verranno decifrati ogni volta per lui da qualche altra forza superiore e a lui fondamentalmente ignota; emblematico sarà l’episodio delle Tre Porte Magiche da attraversare per giungere al cospetto dell’Oracolo del Sud: in proposito, ci si potrebbe aspettare che Atreyu raccolga finalmente tutti i propri poteri e le proprie capacità per risolvere tali enigmi, ma, in realtà, il nostro protagonista non si limiterà a fare altro che a riferirsi a una sorta di forma generica di coraggio, proveniente del fatto che lui stesso non è altro che un eroe estremamente generico! Non a caso, qualche pagina dopo, l’Oracolo Uyulala pronuncerà la fatidica verità, rivelandogli come tutti gli abitanti di Fantàsia non siano altro che personaggi di un libro, figure stereotipate e bidimensionali, in grado unicamente di compiere le azioni per cui sono state create. Atreyu, quindi, si riscoprirà nient’altro che come un’invenzione, un dispositivo narrativo, un eroe così generico che la Porta Specchio, capace di riflettere il vero Io, non fa altro che mostrargli l’immagine di un bambino a lui completamente estraneo. Atreyu, infatti, come protagonista dell’avventura, non è altro che la proiezione in un mondo fantastico di Bastian, allo stesso modo in cui Bastian è l’immagine del lettore che in quel momento sta sfogliando `La Storia Infinita`. D’altronde, pensandoci bene, come può ognuno di noi non identificarsi in quel protagonista? Chi di noi non ha mai amato un libro, non è mai stato emarginato, non ha mai avuto un momento difficile a scuola? Chi di noi non conserva un piccolo e fragile Bastian in una parte del proprio cuore? Tuttavia, la figura di Bastian, a differenza di Atreyu, non si limiterà unicamente a questo. Bastian, infatti, è piccolo ed è goffo, non propriamente quello che si possa dire un “ragazzo sveglio”, ma, nel corso del racconto, lo vedremo cambiare radicalmente, grazie proprio la lettura de `La Storia Infinita`! Il nostro protagonista, infatti, diverrà ben presto capace di modificare la Storia stessa, tanto da essere trascinato dal ruolo di lettore e mero spettatore degli eventi, direttamente a quello di personaggio e protagonista attivo delle vicende. In tutto questo, Fantàsia assurgerà a simbolo delle proprietà della mente subconscia, ovvero dell’immaginazione, della creatività e dei piani astrali; al contempo, il vero antagonista della prima parte del libro, ovvero il Nulla, che qualunque cosa divora e solo oblio lascia dietro di sé, diverrà simbolo esoterico del male più primitivo, ossia il Caos. Nothing, Hyle, Ain, Tiamat, molti sono i nomi con cui nelle varie culture viene descritto il fenomeno distruttivo capace di smantellare tutta la Creazione in un nuovo Infinito, lo stesso a causa del quale anche Fantàsia, l’insieme dei sogni e dei desideri dell’umanità, finirà per implodere su se stessa. Vi è dunque soluzione a tutto questo o il dilagare Nulla rappresenterà inevitabilmente la fine della speranza, dell’immaginazione e della fantasia? «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio» si legge nel Vangelo di Giovanni, il quale, in comune con ogni mito cosmogonico dell’antichità, assegna alla parola una forza creatrice: donare un Nome significa, infatti, dare Vita. Bastian ben presto capirà, infatti, come per salvare quell’immenso regno di colori, suoni e magie, sarà infine necessario svolgere un ultimo compito: egli stesso dovrà diventare il Dio di quel mondo straordinario, credendo fermamente e donando all’Infanta Imperatrice della Torre d’Avorio un nuovo nome. Per Bastian, quindi, il compito sembrerà tutto sommato facile inizialmente, eppure, scegliere un nuovo appellativo per l’Infanta Imperatrice si rivelerà solo l’ultimo dei suoi doveri; prima di tutto, infatti, Bastian dovrà compiere l’azione più difficile, ovvero credere, avere fede e accettare di sognare. Bastian progressivamente capirà che il «fa ciò che vuoi» inciso su AURYN, il magico amuleto che l’Imperatrice gli donerà, non significherà «fa quel che ti pare», ma sarà un’esortazione a seguire la sua più profonda volontà e ritrovare quindi se stesso, il compito più arduo che si possa mai immaginare. In seguito a ciò, Bastian incrocerà il proprio destino con quello della `Storia Infinita`, attraversando le rigogliose lande dei propri desideri e pian piano passando dalla goffaggine alla bellezza, dalla forza alla sapienza, dal potere alla tirannia, fino a quando capirà, infine, di doversi fermare. Cicli e ricicli, loop e ritorsioni: a partire dall’alternanza fra il Nulla e la Creazione, fino all’avventura di Atreyu e, successivamente, a quella di Bastian, è chiaro come uno degli elementi chiave de `La Storia Infinita` non sia altro che la ciclicità del tempo, dei mondi e delle azioni. L’emblema stesso di Fantàsia, AURYN, ovvero un serpente bianco che morde la coda a un serpente nero e viceversa, non è altro che un Ouroboros, un simbolo frequentemente ricorrente nelle civiltà pagane, volto a rappresentare l’infinita ricorrenza presente tanto nel tempo quanto nella realtà, che si rivelano infine nient’altro che un’alternanza inscindibile fra Bene e Male. Non a caso, nel suo complesso, si può rintracciare una strana ambiguità morale all’interno de `La Storia Infinita`, per cui tutti i personaggi sono loro malgrado destinati ad accettare la combinazione fra bontà e malvagità del proprio mondo come inevitabile. A questo proposito, fondamentale sarà la testimonianza di Morla, la vecchia tartaruga interrogata da Atreyu per conoscere la destinazione del proprio viaggio, talmente antica da aver conosciuto più volte la distruzione e la ricreazione di Fantàsia e, quindi, completamente insensibile e disillusa nei confronti di qualsiasi avvenimento possa ormai accadere: «Tutto si compensa, il Bene e il Male, il Bello e il Brutto, la Stupidità e la Saggezza. Tutto è vuoto. Niente è reale. Niente è importante». Di conseguenza, anche l’Infanta Imperatrice, governatrice assoluta e incarnazione stessa di Fantàsia, non apparirà in definitiva come un personaggio totalmente positivo. L’Imperatrice, infatti, non alzerà un dito per governare il suo regno o per salvarlo dall’oblio, e, in generale, non eserciterà mai la propria autorità. L’Infanta Imperatrice, infatti, è origine di tutte le cose, ma, in quanto tale, non è in grado di giudicare nessuno o di interferire con le azioni altrui, poiché davanti ai suoi occhi dorati tutti i suoi sudditi appaiono uguali, belli o brutti, stolti o saggi, buoni o malvagi che siano. Ella vive unicamente della propria influenza, per questo necessita di Bastian per salvare Fantàsia dalla distruzione; eppure, al contempo, non darà al bambino alcuno strumento per salvarsi della propria perdizione, non lo avvertirà del pericolo mortale che si celerà dietro al suo immenso potere, ovvero quello di perdere se stesso, la propria identità e la propria purezza. Come si può, infatti, mantenere la propria integrità quando ogni desiderio è concesso? Fantàsia, nonostante gli iniziali sforzi profusi da Bastian, apparirà quindi sempre come un regno fondato sulla co-esistenza fra il Bene e il Male, capeggiato da una governatrice assoluta provvista lei stessa di due facce. L’Infanta Imperatrice, infatti, è divinamente bella ed è la genesi di tutto ciò che la circonda, eppure è anche una sirena amorale, una creatura senz’anima, disposta a qualunque cosa pur di preservare l’ordine delle cose; allo stesso modo, Bastian sarà inizialmente caritatevole e desideroso di aiutare, ma con ciò non impedirà alla sua ambizione sconsiderata di mettere a repentaglio la vita dei propri amici e di scatenare perfino una guerra all’interno dei confini stessi di Fantàsia. Cercando di migliorare il regno incantato con la forza, Bastian dimostrerà quanto pericolose possano essere le buone intenzioni; eppure, sarà proprio questo che lo porterà a cambiare veramente al termine del romanzo. Bastian, infatti, capirà la vacuità dell’esercizio del potere, imparerà a conoscere se stesso e far tesoro, infine, della fedeltà di un amico e dell’amore di un padre. In questo modo, `La Storia Infinita` ricorderà al lettore anche l’importanza dei bisogni primari, i fondamenti stessi dell’esistenza, ovvero l’esigenza di appartenere a qualcuno e di ricevere amore. «La fantasia è un diritto fondamentale dell’uomo. Come l’acqua e il pane quotidiano». Ecco, infine, la vera morale di Michael Ende, che si rivela nient’altro che come un apostolo del mondo dell’immaginazione, un profeta della libertà creativa dell’essere umano. La visione di Ende di Fantàsia asserragliata dal Nulla, ovvero quella di una comunità minacciata da forze distruttive schiaccianti, colpì fortemente l’opinione pubblica tedesca degli anni Ottanta, in particolare di quella parte che la interpretò come una metafora in chiave fantastica della minaccia nucleare che gravava sull’Europa. A prescindere da queste letture politiche, tuttavia, il vero successo de `La Storia Infinita` fu determinato dai bambini, che vedevano in essa semplicemente uno straordinario spettacolo pirotecnico di fantasia e di creature magiche. Lo stesso Ende per tutta la vita non si definì in altro modo che come «narratore di storie», rifiutando persino l’appellativo di letterato. Per lui “raccontare una storia” non significava altro che celebrare la fondamentale importanza della libertà e della vita umana, attraverso i mezzi della fiaba e dell’elemento fantastico; la narrativa non diventava così uno strumento volto all’insegnamento, ma solo il principale mezzo per mettere in moto una fondamentale battaglia per la strenua difesa dei valori morali e per il loro rinnovamento, traghettando l’invisibile nelle forme del visibile, ricollocando così il lettore, e quindi l’uomo, in un mondo migliore. La realtà contemporanea, infatti, agli occhi di Ende, era prostrata dal fenomeno del “disincanto”, capace unicamente di infondere tristezza e bruttezza negli animi nelle nuove generazioni, non a caso proprio quelle a cui lui decise di rivolgersi con lo scopo di recuperare in loro bellezza, gioia e speranza. Da qui scaturì anche la sua feroce critica nei confronti del razionalismo, del becero intellettualismo fine a se stesso, avente come unico scopo quello di ferire a morte la fantasia e defraudare il mondo dell’immaginazione, condannandolo così a distruggere la propria natura e a perdere il proprio incanto. «L’essenza della bellezza è il mistero e la meraviglia», amava sovente ripetere Michael Ende, trasponendo poi quella stessa bellezza nei suoi romanzi, in maniera al contempo semplice e duratura. Mai leggendolo, infatti, incontreremo particolari artifici letterari o pretestuosi giochetti narrativi, ma solo uno sguardo candido, naturale e pertanto incantato sul mondo, un’espressione in grado di scaturire solo dalla contemplazione dello straordinario e da un rapporto sano e profondo con la realtà; è lo sguardo luccicante dei bambini, ammutolito dallo stupore, non l’atteggiamento cinico e disilluso sdoganato negli ultimi anni, capace, in realtà, di donare all’uomo solo un’immagine amputata e deforme di tutto ciò che lo circonda. E’ quando si finisce per abusare del razionalismo, rendendo la logica l’unico metro assoluto della realtà, infatti, che qualcosa in noi si spezza. Diventa pertanto assolutamente necessario contrapporre a questa immagine dell’universo un’interpretazione differente, che restituisca alla vita il suo mistero e all’uomo la sua dignità. In fondo, un mondo senza fate e senza elfi, senza Draghi della Fortuna volanti e senza tartarughe antichissime, senza oracoli fatti di sola voce e senza giganti del vento e delle tempeste, che mondo sarebbe? E’ un luogo abitabile per i bambini un regno privo di eroi e di angeli custodi, ma anche di streghe crudeli e di mostri ripugnanti? No, per loro di certo non lo è, ma neppure per gli adulti che, molto spesso senza pensarci, buttano alle ortiche la virtù della propria immaginazione e le amare lezioni frutto del progredire della civiltà. Forse, la vera cura per la realtà moderna, violenta e malata, non è la conoscenza oggettiva, sempre e comunque benvenuta, ma quella che gli antichi chiamavano più propriamente saggezza. D’altronde, i misteri della vita si rivelano solo a chi è disposto ad accettarli, ovvero chi, come i bambini, non ha mai dimenticato la capacità di sognare.
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«… ma questa è un’altra storia,
e si dovrà raccontare un’altra volta.»
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