martedì 31 luglio 2012

LO STERMINIO DEGLI INDIANI D'AMERICA










di PAOLO DEOTTO
"... se permetteremo anche a solo 50 indiani di rimanere tra il Platte e l'Arkansas dovremo far proteggere ogni treno, ogni cantoniera, ogni gruppo di persone che lavora alla ferrovia. In altre parole, 50 indiani "ostili" possono tenere in scacco 3000 soldati. Meglio buttarli fuori al più presto possibile, e non fa molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio da parte dei commissari per gli affari indiani o uccidendoli". (da una lettera scritta dal generale William T. Sherman, comandante della divisione militare del Missouri, al segretario della guerra, Edwin M. Stanton - novembre 1868).
"... Voi siete munito di pieni poteri per attuare la sistemazione definitiva delle tribù indiane nomadi su territori ad esse graditi e porle pacificamente sotto il controllo dei funzionari a ciò incaricati dal Dipartimento per gli Affari Indiani". (dalla lettera di istruzioni scritta dal Presidente degli Stati Uniti, Ulysses S. Grant, al plenipotenziario Vincent Coyler - luglio 1871).
"Io... farò in modo di ridurre ciascuno di loro alla fame più nera se gli indiani non vorranno lavorare... "(da una lettera scritta da Nicholas C. Meeker, agente per gli indiani Ute, al senatore Teller - febbraio 1878).


Abbiamo letto tre estratti, tre piccoli ma significativi documenti scritti nell'arco di un solo decennio, che possono ben servire da sintesi dell'evoluzione della politica americana nei confronti dei pellerossa. Passiamo dalla proposta pura e semplice del generale Sherman di
sopprimere gli indiani, alla direttiva del Presidente Grant di addivenire a un controllo pacifico, all'affermazione dura di un agente indiano, ben deciso a trasformare un popolo di cacciatori (nella fattispecie, gli indiani della tribù Ute) in agricoltori, a costo di "ridurli alla fame più nera". 





Diversi sarebbero stati anche i motivi per cui l'uomo bianco iniziò la sua politica contro l'uomo rosso. La pura e semplice espansione verso Ovest sarebbe divenuta estremamente più aggressiva con le scoperte dei giacimenti di oro e di argento, mentre la costruzione delle ferrovie avrebbe sconvolto l'assetto di vita degli indiani delle Pianure, avendo come primo effetto quello di mutare le direzioni delle migrazioni dei bisonti.
Ma cerchiano ora di procedere con ordine, per vedere nel dettaglio lo sviluppo di una politica che non è eccessivo definire di genocidio.
Genocidio: "metodica distruzione di un gruppo etnico, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l'annullamento dei valori e dei documenti temporali" (Vocabolario della lingua italiana, di Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, Le Monnier, Milano 1984).
Non abbiamo quindi solo l'eliminazione fisica degli individui che compongono il gruppo etnico, ma anche l'eliminazione di tutti quei fattori che costituiscono l'identità stessa di un popolo (religione, cultura, usanze), per cancellarne la memoria, affinché il gruppo sterminato, privato anche della memoria storica, non possa più risorgere.
Chi, come l'autore di queste pagine, non è più un ragazzo ricorda nella sua giovinezza un mito del West, alimentato soprattutto da una filmografia che creò degli stereotipi divenuti classici. Il cow boy, lo sceriffo, gli indiani, l'avventura, le cavalcate nelle immense praterie, le immancabili sparatorie, la vittoria dei buoni sui cattivi. Gli indiani erano perlopiù i selvaggi e gli eventuali indiani buoni erano quelli disposti a collaborare con l'uomo bianco. Al manicheismo del "bianco buono - rosso cattivo" non è mancato purtroppo il manicheismo di senso opposto (ricordate il Piccolo grande uomo ?). A due estremismi, cerchiamo quindi di opporre la lettura dei dati di fatto, per trarre da questi qualche insegnamento. 




.....A questo movimento continuo, a questa frenesia di conquista in tutti i campi, si contrapponevano, nelle grandi pianure a Nord di quel confine indicativo tracciato dal fiume Arkansas, delle popolazioni che conducevano una vita totalmente differente, seguendo tradizioni secolari, con una spiritualità e un contatto, reale, con la natura che li portavano ad essere indifferenti verso quei valori che invece coinvolgevano profondamente l'uomo bianco. Per i Sioux e in genere per le tribù indiane del settentrione il credo religioso era fondato sulla figura di Manitou, il Grande Spirito, che chiedeva agli uomini di praticare alcune virtù e di regolare la propria vita su di esse. Le quattro virtù erano la generosità, il coraggio, l'integrità morale e la forza d'animo. I quattro peccati che un indiano doveva rifuggire erano: permettere che un ospite se ne andasse affamato; permettere che un bimbo orfano piangesse per fame; perdere in battaglia il più anziano dei figli e tornare senza di lui; tornare solo dal combattimento dopo che tutti i propri compagni fossero stati uccisi. Come si vede, la guerra era considerata una componente normale, diremmo ovvia, nella vita del pellerossa, né questo deve stupire in una società primitiva.

articolo completo link

SENZA EURO PER LA GERMANIA SAREBBE CRISI


di Vladimiro Giacché da Pubblico
Da tempo l’interpretazione dei discorsi dei governanti europei non ha nulla da invidiare, quanto a complessità, all’interpretazione dei discorsi dei leader sovietici ai quali si dedicavano dei veri e propri specialisti, i sovietologi. Da mesi, ormai ogni giorno, stuoli di eurologi si rompono la testa per capire il senso dell’ultima intervista della Merkel o dell’ultimo intervento di Draghi: e in base a quello che hanno capito comprano o vendono titoli di Stato. Anche in questo fine settimana gli eurologi hanno avuto il loro bel da fare con l’intervistarilasciata da Wolfgang Schäuble alla “Welt am Sonntag”.
L’impressione generale è che il ministro delle finanze tedesco si barcameni con difficoltà, dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Da una parte Schäuble insiste sul fatto che l’impossibilità per la Grecia di conseguire gli obiettivi fissati dalla troika dipenda dal fatto che i programmi imposti da FMI, BCE e Unione Europea sono stati applicati male e non dalla loro insensatezza. Aggiunge poi che non ci sono spazi “per ulteriori concessioni” (sic) alla Grecia. Sulla Spagna tenta senza grande fortuna uno slalom, prima minimizzando l’entità del problema dei rendimenti – ormai elevatissimi – dei titoli di Stato spagnoli (“non viene giù il mondo se a un’asta di titoli di Stato si deve pagare un paio di punti percentuali in più”), poi dichiarando che gli aiuti sinora offerti sono sufficienti e negando, contro ogni evidenza, che ci sia del vero nei rumors di un’ulteriore prossima richiesta di aiuto da parte della Spagna. Queste parti dell’intervista di Schäuble sono di per sé tali da alimentare lo scetticismo sulla concreta possibilità per Draghi di intervenire “sino a dove necessario” per contrastare l’esplosione dei rendimenti dei titoli di Stato spagnoli e italiani. E da questo punto di vista non c’è niente di nuovo: è almeno da un anno e mezzo che i governanti tedeschi ci hanno abituato a dichiarazioni che gettano benzina sul fuoco, alimentando la convinzione che non potrà esserci alcun intervento risolutivo da parte europea nei confronti dei paesi che hanno difficoltà di approvvigionamento sui mercati dei capitali.
Ma nell’intervista c’è anche dell’altro. Ad esempio, Schäuble afferma a chiare lettere che “la Germania trae vantaggio dalla moneta comune più di ogni altro paese”. Conseguentemente, liquida con fastidio il dibattito sull’uscita della Grecia dall’euro (il vicepremier tedesco Rösler lo aveva riaperto pochi giorni fa), e soprattutto prende a schiaffi i professori del centro di ricerca tedesco Ifo, che avevano dichiarato che un’uscita della Grecia dall’euro costerebbe alla Germania “soltanto” 82 miliardi di euro, a fronte degli 89 necessari per mantenerla se restasse all’interno della moneta unica. Ecco la sua risposta: “credo che i conti della serva li facciano le serve. I professori si comportano diversamente. Da parte di chi ha titoli accademici e da istituti scientifici che sono sovvenzionati con molto denaro dei contribuenti ci si attende un senso di responsabilità particolare”. Questo senso di responsabilità qui è mancato, perché nel calcolo dell’Ifo “i rischi sono equiparati alle sole perdite del bilancio pubblico”, cosa “assolutamente non rispondente al vero”.
Schäuble qui ha pienamente ragione. E le sue parole sono rivelatrici. In Germania ormai sono in molti a fare i conti di cosa significherebbe una fine dell’euro. La risposta possibile è una sola: una catastrofe economica. È significativo che negli ultimi giorni qualche risultato di questi calcoli sia stato diffuso dai principali organi di stampa. La sola bancarotta della Grecia farebbe crescere l’indebitamento tedesco del 3,5%. Ma quello che spaventa è la possibile bancarotta di Spagna o Italia. Qui i calcoli sono semplici: questi due paesi da ora alla fine del 2013 devono procurarsi 750 miliardi di euro sui mercati. Si tratta di 110 miliardi in più di quanto abbiano nella loro disponibilità il Fondo Salva-Stati e il Meccanismo europeo di stabilità. Così Lars Feld, professore all’università di Friburgo, sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Ma il carico lo mette Michael Heise, chief economist del gruppo Allianz, che spiega cosa succederebbe alla Germania in caso di implosione dell’euro, ossia di ritorno al marco. Già la recessione negli altri paesi europei sarebbe un guaio, visto che il 40 per cento dell’export tedesco è diretto verso l’eurozona. Ma, soprattutto, la moneta tedesca si rivaluterebbe del 15-20 per cento, il che comporterebbe una perdita di export sino ad un quinto del totale. E siccome il contributo delle esportazioni al prodotto interno lordo è oggi del 50 per cento, anche considerando che i beni intermedi che entrano nella produzione dei prodotti esportati è pari al 40 per cento del valore di questi ultimi, ne seguirebbe una perdita di ricchezza prodotta del 5 per cento. Considerando il peggioramento della congiuntura e le crisi bancarie che si verificherebbero a seguito della fine dell’euro, entro 2 anni la perdita di prodotto cumulata raggiungerebbe il 15 per cento. Non solo: poiché ogni apprezzamento di una valuta comporta una crescita dei costi di produzione rispetto all’estero, molte imprese delocalizzerebbero o ritirerebbero i loro capitali dalla Germania. E oggi – osserva giustamente Heise – questo genere di movimenti avviene molto più rapidamente che in passato. La chiusura di molte imprese peggiorerebbe la situazione economica anche per le sue conseguenze negative sull’indotto e nelle zone circostanti.
Tirate le somme, Heise calcola che la perdita di prodotto interno lordo per la Germania dopo 4-5 anni dalla fine dell’euro sarebbe dell’ordine del 25 per cento. E conclude: “non si fa allarmismo se si osserva che la disgregazione dell’euro sarebbe uno shock ben peggiore della crisi successiva al fallimento di Lehman Brothers”. Le cose stanno precisamente così, e del resto già oggi i problemi economici di molti partner europei stanno minacciando seriamente la crescita tedesca: la fiducia delle imprese è in calo per il terzo mese consecutivo, e a questo punto le stesse previsioni di crescita per il 2012, pur molto modeste (+0,7 per cento), sono probabilmente ottimistiche. Di fatto, con l’atteggiamento oltranzistico tenuto sinora, i tedeschi stanno tagliando il ramo su cui sono seduti.
Ma noi, rileggendo l’intervista a Schäuble, riusciamo a trovarci d’accordo soprattutto sul titolo: “Non tutti hanno ancora compreso la nostra strategia”. Vero. Ma la cosa non è priva di effetti. Se ai tempi dei sovietologi gli esperti si dividevano sul significato da dare ad alcune sibilline affermazioni dei membri del politburo, e i governi occidentali agivano di conseguenza, tra lunedì (asta Btp) e giovedì (asta di Bonos) qualcuno comprerà o no titoli italiani e spagnoli anche a seconda delle frasi di questa intervista che riterrà decisive.
Se i mancati acquisti prevarranno, i rendimenti dei titoli di Stato italiani e spagnoli saliranno ulteriormente. E la fine dell’euro sarà più vicina.

lunedì 30 luglio 2012

CITAZIONI ANARCHICHE




Max Stirner

Ma intorno all'altare si inarcano le volte di una chiesa e le sue mura si estendono sempre più in là. Ciò che esse racchiudono, è - sacro. Tu non puoi raggiungerlo e tanto meno toccarlo. Gridando per la fame che ti divora, ti aggiri intorno a quelle mura, per raccogliere quel poco di profano che è rimasto, ma i cerchi del tuo percorso si fanno sempre più ampi. Presto quella chiesa abbraccerà tutta la terra e tu verrai ricacciato al margine estremo; ancora un passo ed il mondo del sacro avrà vinto: tu sprofondi nell'abisso. Perciò riprenditi, finché hai tempo; non errare più a lungo nel prato falciato del profano, rischia e sfonda le porte, irrompendo nel santuario stesso. Se tu divori il sacro te ne appropri! Digerisci l'ostia e te ne sarai sbarazzato! (Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà)
Rivoluzione e Rivolta non devono essere presi per sinonimi. La prima consiste in un rovesciamento dello stato di cose esistente, dello statuto dello Stato o della Società; essa è dunque un atto politico o sociale. La seconda, pur comportando inevitabilmente una trasformazione dell'ordine costituito, non ha in questa trasformazione il suo punto di partenza. Essa deriva dal fatto che gli uomini sono scontenti di se stessi e di ciò che li circonda. Essa non è una levata di scudi, ma un sollevamento di individui, una ribellione che non si preoccupa assolutamente delle istituzioni che potrà produrre. La rivoluzione ha come obiettivo delle nuove istituzioni. La rivolta ci porta a non lasciarci più amministrare ma ad amministrare da soli. La rivolta non attende le meraviglie delle istituzioni future. Essa è una lotta contro ciò che esiste. Una volta riuscita, ciò che esiste crolla da solo. Essa non fa che liberare il mio Me dallo stato di cose esistente, il quale, dal momento in cui me ne congedo, viene meno e cade in putrefazione! (Max Stirner)
Non c'è nulla che m'importi più di me stesso! (Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà)
Ho riposto le mie brame nel nulla. (Max Stirner, L'Unico e la sua proprietà)
Chi, per rimanere padrone di ciò che possiede, deve contare sulla mancanza di volontà di altri, é una cosa fatta da questi altri, così come il padrone é una cosa fatta dal servo. Se venisse meno la sottomissione. il padrone cesserebbe d'essere. (Max Stirner)
La rivoluzione mira ad un'organizzazione nuova; la ribellione ci porta a non lasciarci più organizzare, ma ad organizzarci da soli come vogliamo, e non ripone fulgide speranze nelle "istituzioni" ... Se il mio scopo non è rovesciare un ordine costituito ma innalzarmi al di sopra di esso, il mio proposito e le mie azioni non sono politici e sociali, ma egoistici. La rivoluzione ci comanda di creare istituzioni nuove; la ribellione ci domanda di sollevarci o innalzarci. (Max Stirner)
Per lo stato è indispensabile che nessuno abbia una sua volontà; se uno l'avesse, lo stato dovrebbe escluderlo, chiuderlo in carcere o metterlo al bando; se tutti avessero una volontà propria, farebbero piazza pulita dello stato. (Max Stirner)

Pierre Joseph Proudhon

La proprietà è un furto! (Pierre Joseph Proudhon)
E voi, uomini del potere, magistrati irosi, proprietari codardi, mi avete almeno capito? [...] Non fate che la nostra disperazione esploda, perché anche se i vostri soldati e poliziotti riuscissero a conculcarci, non potreste resistere a quella che sarebbe la nostra ultima risorsa. Non é il regicidio, né l'assassinio, né il veleno, né l'incedio, né il rifiuto di lavorare, né l'emigrazione, né l'insurrezione, né il suicidio; é qualcosa più terribile di tutte queste cose, qualcosa che si può vedere ma di cui non si può parlare. (Pierre Joseph Proudhon)

Errico Malatesta

Anche se sarem vinti, la nostra opera non sarà stata inutile, poichè più saremo stati decisi a raggiungere l’attuazione di tutto il nostro programma, e meno proprietà e meno governo vi sarà nella nuova società. E avrem fatto opera grande, perchè il progresso umano si misura appunto dalla diminuzione del governo e dalla diminuzione della proprietà privata. E se oggi cadremo senza piegar bandiera, possiamo esser sicuri della vittoria di domani. (Errico Malatesta)
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti, tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a desiderarle ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero il nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre sempre di più fino a che non ha raggiunto l'eman-cipazione completa. (Errico Malatesta, Il programma anarchico)
Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti pane, libertà, amore, scienza. (Errico Malatesta, Il programma anarchico)
Ottenere il comunismo prima dell'anarchia, cioé, prima di avere completamente conquistato la libertà politica ed economica,significherebbe stabilire una tirannia cosi terribile, che la gente rimpiangerebbe il regime borghese, per poi tornare al sistema capitalista... (Errico Malatesta, 1920)
Organo e funzione sono termini inseparabili. Levate ad un organo la sua funzione o l'organo muore o la funzione si ricostituisce. Mettete un esercito in un paese in cui non ci siano nè ragioni nè paure di guerra interna o esterna, ed esso provocherà la guerra, o, se non ci riesce, si disfarà. Una polizia dove non ci siano delitti da scoprire e delinquenti da arrestare, inventerà i delitti e delinquenti, o cesserà di esistere. (Errico Malatesta, Anarchia)
Lo Stato è come la religione, vale se la gente ci crede. (Errico Malatesta)
Quando si parla di libertà s'intende parlare di una società in cui nessuno potrebbe violentare gli altri senza incontrare valida resistenza, in cui soprattutto nessuno potrebbe accaparrare ed usare la forza collettiva per imporre la propria volontà agli individui ed alle stesse collettività che forniscono la forza. (Errico Malatesta)
[modifica]Michail Bakunin
Di qui innanzi, tutto ciò che rimane della mia vita, si potrà riassumere in una sola parola: Libertà. (Michail Bakunin)
L'impulso alla distruzione è anche un impulso creativo. (Michail Bakunin)
E' ricercando l'impossibile che l'uomo ha sempre realizzato il possibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che appariva loro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo. (Michail Bakunin)

Noam Chomsky

La democrazia ha bisogno della dissoluzione del potere privato. Finchè esiste il potere privato nel sistema economico, è una barzelletta parlare di democrazia. Non si può nemmeno parlare di democrazia, se non c'è un controllo democratico dell'industria, del commercio, delle banche, di tutto..... (Noam Chomsky)
Se le leggi Norimberga fossero attuate ancora oggi, ogni presidente americano del dopo guerra sarebbe stato impiccato. (Noam Chomsky)
[modifica]Oscar Wilde
L'autorità è sempre degradante: degrada sia coloro che la esercitano, sia coloro che la subiscono (Oscar Wilde)
Esistono tre tipi di despota. C'è il despota che tiranneggia il corpo. C'è il despota che tiranneggia l'anima. C'è il despota che tiranneggia sia l'anima che il corpo. Il primo viene chiamato re. Il secondo, Papa. Il terzo, maggioranza. (Oscar Wilde)
L'uomo non è stato fatto per spazzare. Lavori di quel genere si addicono meglio ad una macchina. (Oscar Wilde)
Coltivare l'ozio è il fine dell'uomo (Oscar Wilde)
Un atlante che non contempli il paese d'Utopia non è degno d'essere stampato. (Oscar Wilde)
La forma di governo che si addice maggiormente all'artista è l'assenza di ogni governo (Oscar Wilde)
Altri

Io ho fondato la mia causa sul nulla. (Johann Wolfgang von Goethe, in Vanitas!Vanitatum vanitas!)
Sin dall'infanzia, mi sembra di avere sempre avuto, molto netto, il doppio sentimento che doveva dominarmi durante tutta la prima parte della mia vita: quello cioè di vivere in un mondo senza evasione possibile, dove non restava che battersi per un evasione impossibile. (Victor Serge, Memorie di un rivoluzionario)
V'è solo un potere al quale posso prestare un'obbedienza convinta: la decisione della mia intelligenza, il comando della mia coscienza. (William Godwin)
Guardate nella profondità di voi stessi, cercate la verità e realizzatela voi stessi, non la troverete in nessun altro luogo. (Petr Arshinov)
Sento le leggi dell’arte, che portano sempre e soltanto felicità. Ma le leggi politiche mi sembrano menzogne così enormi, che non capisco come una di esse possa essere migliore o peggiore dell’altra… Di qui innanzi non servirò mai nessun governo, di nessun paese. (Lev Tolstoj)
Chiunque abbia nelle mani un'autorità tiranneggia gli altri. (Gerrard Winstanley)
La mia anima é un tempio sacrilego in cui le campane del peccato e del crimine voluttuose e perverse, risuonano di rivolta e disperazione. (Renzo Novatore)
In una società di omologati, coloro che si distinguono semplicemente per voler essere se stessi, peccano di protagonismo e sono condannati ad apparire autoritari quando sostengono con forza le proprie ragioni.[1] (Altipiani azionanti)
Tale anarchico ha un’opinione diversa dalla mia; ciò è naturale perché lui è diverso da me. Io non vorrei che egli mi imponesse la sua opinione, non saprei dunque imporgli la mia. Basta che questo “altro” sia un uomo libero, che non saprebbe usare contro di me i mille mezzi cui ricorre l’autorità. “E’ l’autorità che si deve combattere e non la diversità delle opinioni” la quale – fra anarchici – costituisce la vita stessa delle idee anarchiche. Senza la diversità noi si sarebbe un gregge simile a quello di un partito socialista qualsiasi. Invece di deplorare la diversità io la saluto di tutto cuore, poiché essa sola può fornirci la garanzia che ciascuno dice realmente quello che pensa e che non può fare altrimenti. Altrettanto dunque mi piace ogni discussione seria, altrettanto deploro ogni polemica fra anarchici. Ma anche la discussione non deve avere per scopo di vincere, di schiacciare l’avversario, ma bensì di permettere a ciascuno di esprimere le sue idee in modo conveniente ed approfondito. In seguito, l’uno e l’altro dei contradditori potrà essere convinto su un tale punto oppure non esserlo, ma questi non saranno più che incidenti secondari. (Max Nettlau)
Mentre il popolo pensa che l’anarchismo sia solo un violento movimento contro lo Stato, l’anarchismo è un qualcosa di molto più sottile e con varie sfumature che una semplice opposizione al potere governativo. Gli anarchici si oppongono all’idea stessa che il potere e il dominio siano necessari per l’esistenza di una società, ed in alternativa vogliono la creazione di forme di organizzazione sociale, politica ed economica cooperative e non gerarchiche. (L. Susan Brown, The Politics of Individualism, p. 106)

sabato 28 luglio 2012

NON HANNO LIMITI. SARA' PEGGIO DI COSI'


Emergono i dettagli, la penna Bic sta unendo i puntini sul foglio e sta emergendo la figura completa, se di completo esiste qualcosa nella perfidia dei tecnocrati europei, che sembra non avere fondo.
Nei corridoi della UE sta trapelando la seconda parte del piano Draghi-Merkel di ieri. Vi pareva che si accontentassero di intrappolarci nell’Eurozona per altri 5 o 10 anni senza, fin da subito, spremere sangue concreto?
Inutile che il giornalista dia i dettagli tecnici, vengo al sodo. Adesso salta fuori che prima di attivare il programma SMP bond purchasesdella BCE, quello che può calmare i mercati abbassando i tassi sui nostri titoli di Stato e quindi allontanando la fine dell’agonia (http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=416), la Germania pretenderà da noi Maiali/PIIGS il ricorso al Fondo Salva Stati (ESFS o MES) per una prima trance di prestiti a noi concessi. Ciò significa che già da subito l’Italia e la Spagna dovranno caricarsi di ancora più debito, ma attenzione, di quel tipo di debito mortale che non solo va restituito dissanguando cittadini e aziende, ma comporta la resa nazionale alla schiavitù della micidiale Troika (Commissione UE, BCE, FMI) che è oggi freneticamente all’opera nella camere di tortura in Grecia.
Infatti è il ministro delle Finanza tedesco Wolfgang Schäuble oggi a introdurre il discorso delle “precondizioni” all’intervento del SMP/BCE. Dice “la precondizione è che i politici facciano i necessari passi per le riforme”, e sappiamo noi pensionati, scuole, pompieri, ammalati, dipendenti e aziende cosa sono le “riforme”. Infatti è un anonimo alto ufficiale della Commissione oggi a parlare al Financial Times di un “memorandum” che il Paese in crisi dovrà firmare per ottenere i soldi del Fondo Salva Stati prima, e successivamente quelli del SMP/BCE. Ma guarda, e chi è stato il giornalista che pochi giorni fa scrisse qui che Monti aveva mentito al ritorno da Bruxelles nel dire che l’Italia aveva strappato la concessione di non doverli firmare quei tragici memorandum di schiavitù.
Ma certo. Ci terranno in galera, ma non senza prima averci mozzato una caviglia così da esser veramente certi che urleremo, ma stavolta arrampicati sul tetto della prigione nella speranza che la piena ci consenta di fuggire non ci arriveremo di sicuro.

venerdì 27 luglio 2012

Super Mario Draghi e i suoi poteri (poco super)





Basta una dichiarazione del banchiere centrale per far precipitare gli spread. Ma i suoi poteri e l’effettiva determinazione sono limitati. L’uscita dall’Euro rimane sul tappeto e può essere l’occasione per l’inizio di un percorso nuovo di cui l’Italia sarebbe chiamata a dare il meglio di sé
Le scorse settimane, caratterizzate dall’elevata tensione sui titoli di stato italiani e spagnoli, sono state percorse da una vera tempesta di idee sulle cause dell’innalzarsi dello spread. Ha dato il “la” Mario Monti, sostenendo inizialmente che l’innalzarsi dello spread fosse colpa del presidente di Confindustria Squinzi, il quale si era permesso di dire che l’austerità non funziona e che il paese sta soffrendo per la “cura” dello stesso Monti. Poi è stata la volta delle “tensioni politiche”, vale a dire il ritorno in campo dell’ex premier Silvio Berlusconi. L’apice dell’assurdità è stato raggiunto da Angelo Panebianco, editorialista del Corriere della Sera, secondo il quale i mercati sarebbero preoccupati (con mesi di anticipo) per la possibilità che Vendola o addirittura Di Pietro facciano parte della coalizione di governo prossimo venturo. Più o meno quanto si sosteneva di Hollande, che però una volta al governo ha visto assottigliarsi lo spread tra titoli francesi e tedeschi. Seguendo la logica di Panebianco fino in fondo, assumendo cioè che il grosso dello spread dipenda dalle aspettative dei “mercati” sul colore politico dei governi, dovremmo concludere che le borse sono piene zeppe di socialisti.Paradossi di ragionamento fondato su premesse errate.
Il “dagli all’untore” serve ovviamente a coprire la realtà e ad usare un numero, lo spread, come arma politica, mentre è ormai evidente che la speculazione finanziaria sguazza in una situazione deteriorata anche dall’austerità dei governi. Chi pure speculatore non è, infatti, non può non prendere atto che Spagna e Italia chiuderanno il 2012 con un tasso di crescita negativo e pertanto difficilmente possono essere considerati buoni pagatori futuri.
Negli ultimi due giorni però è accaduto in effetti qualcosa di nuovo. Moody’s ha spiegato che l’eventuale uscita della Grecia dall’euro comporterebbe la perdita della tripla A per il debito pubblico tedesco. L’agenzia ha cioè sostenuto, con ben due anni di ritardo rispetto all’inizio della crisi dei debiti, che se i greci fanno default, a rimetterci sono anche coloro che ai greci hanno prestato i soldi, vale a dire le banche tedesche. E se all’uscita della Grecia si aggiungesse quella di Italia e Spagna, le banche tedesche potrebbero dover chiedere il salvataggio al governo, il cui debito diverrebbe difficilmente gestibile, come quello di Spagna e Italia. Insomma, sembra avvertire Moody’s, se la signora Merkel insiste a non mettere in comune il debito dei paesi dell’eurozona, esso potrebbe alla fine diventare debito pubblico tedesco, nonostante tutto.
La seconda cosa nuova è stata l’apertura della banca centrale austriaca alla possibilità di concedere al fondo salva-stati la licenza bancaria, ossia poter accedere ai prestiti (potenzialmente illimitati) della BCE. Infine ieri Mario Draghi, presidente proprio della BCE, ha – con una chiarezza sinora a lui sconosciuta – sostenuto che la BCE farà tutto quanto in suo potere per salvare l’euro. Draghi ha anche spiegato che la sopravvivenza della moneta unica è un dovere per la banca centrale che presiede mentre la crisi sta rendendo inefficaci le sue politiche monetarie. Questa dichiarazione, da sola, ha fatto precipitare lo spread Spagna/Germania di 100 punti mentre quello Italia/Germania è passato in tre giorni da 537 ai 460 odierni. Si noti che lo stesso giorno il presidente di Confindustria ha affermato che l’Italia non ha possibilità di chiudere l’anno con un PIL positivo. Il potere di Squinzi sullo spread appare quindi piuttosto impalpabile.
Ma c’è un “ma” che gli investitori hanno ben presente. La BCE, per statuto, non è un prestatore di ultima istanza per gli stati, non può monetizzare i debiti pubblici e in ogni caso l’eventualità di usare il fondo salva-stati come una sorta di prestanome della BCE trova ancora l’opposizione della Cancelliera Merkel. QUel “tutto” che Draghi promette non è poi tantissimo. Insomma, la BCE non ha un “bazooka” (per usare la metafora di Christian Noyer, governatore della Banca centrale francese) ma solo una pistola caricata a salve. Anche l’eventualità di un nuovo Ltro (ossia prestiti alle banche per comprare titoli di stato e abbassare quindi gli spread) sarebbe controproducente, come ha sottolineato a suo tempo Paul De Grauwe. Già ora, grazie ai precedenti Ltro, gli istituti di credito sono pieni zeppi di titoli di stato, potenzialmente spazzatura. Si è creato così un circolo perverso, più che vizioso: gli Stati salvano le banche con i soldi dei cittadini, vedono i loro debiti pubblici schizzare in alto, impongono austerità, il timido recupero diventa di nuovo recessione, la credibilità cala, la speculazione opera incontrastata, gli interessi sui titoli salgono, la BCE presta soldi alle banche, le banche comprano titoli di debito pubblico degli Stati, dopo poco la tensione sui mercati si rinvigorisce, i titoli perdono velocemente valore e in prospettiva divengono “carta straccia”, così le banche si trovano esposte più di prima e gli Stati diventano potenzialmente insolventi dopo aver costretto i cittadini a stringere la cinghia oltre il limite della sopportazione (e, nel caso della Grecia, oltre il limite dell’umanità). Sergio Cesaratto l’ha giustamente definito “un pessimo surrogato dell’intervento diretto della BCE nel sostegno agli stati perché alla lunga il giochetto rende gli stati insolventi.” Noi aggiungiamo che è come dare ad un malato di ulcera un’aspirina per abbassare la febbre ma con l’effetto fatale di bucare inesorabilmente lo stomaco.
I banchieri londinesi a cui Draghi ha parlato e gli investitori ovunque nel mondo sanno bene che le parole non bastano. Gli spread possono tornare a crescere rapidamente senza misure concrete e una credibile determinazione. Le prossime giornate ci diranno cosa ha precisamente in mente Draghi e quali risposte verranno dal governo tedesco e dai suoi alleati. Per adesso i poteri di Super Mario sono ben poco super. E del resto neanche il banchiere centrale ha finora dimostrato risolutezza chiedendone di maggiori, cioè chiedendo la riforma della BCE sul modello delle altre banche centrali.
Infine, alcune riflessioni oltre l’assillo dello spread. Anche se – ed è improbabile – si trovasse una soluzione al problema degli interessi sui debiti sovrani, la crisi sarebbe tutt’altro che risolta. Essa origina infatti dagli squilibri delle bilance dei pagamenti dell’area euro, in particolare dal fatto che in questi anni la Germania e altri paesi del “centro” hanno esportato massicciamente le eccedenze produttive verso i paesi “periferici”, i quali le hanno acquistate grazie al credito concesso dal “centro”. In tal modo le banche tedesche sono diventate creditrici e i paesi periferici sono diventati debitori, in assenza di qualsiasi meccanismo che riequilibrasse l’accumulo di debito estero. Ed è qui il nodo, come abbiamo più volte evidenziato.
Le soluzioni ci sarebbero, ma richiederebbero una presa di coscienza finora sconosciuta e una disponibilità da parte della Germania sinora inedita, con un’inversione a 180 gradi della linea sin qui adottata. Inoltre richiederebbero tempo, forse molto tempo. Richiederebbero infine fiducia reciproca tra paesi e governi, una merce davvero scarsa, se guardiamo le condizioni capestro imposte dalla Germania agli stati periferici in cambio, sostanzialmente, di poco più di nulla (come i limitati fondi salva-stati in cui gli stessi stati indebitati devono versare la loro quota).
C’è la possibilità di una inversione drastica in tempi rapidi? Realisticamente, no.Eventuali sostanziali “concessioni” tedesche sul ruolo della BCE sono improbabili, considerando la levata di scudi in Germania contro il ben meno ambizioso scudo anti-spread di Monti, pur accettato dalla Merkel. E, anche se alla fine avvenissero, sarebbero accompagnate da richieste sempre più stringenti in termini di finanze pubbliche, che ucciderebbero ogni possibilità di usare il bilancio, nazionale o europeo, in funzione espansiva. Per non parlare della possibilità di mettere in comune tra tutti i paesi dell’eurozona una parte del debito pubblico.
Sullo sfondo rimangono le proposte avanzate da Zingales e Brancaccio: il primo perun sussidio di disoccupazione europeo (i tedeschi dovrebbero di fatto pagare i disoccupati dei PIIGS: chiaramente per Berlino e la sua visione “moralistica” del debito non se ne parla); il secondo per uno standard salariale, congegnato in modo che i redditi da lavoro crescano con la produttività e nessuno possa utilizzare la svalutazione salariale per aumentare la propria competitività. “Riforme strutturali”, diverse per ispirazione: quella di Zingales di stampo social-liberista (prendere atto del problema disoccupazione, ma usarlo per evitare che i soldi vengano spesi per creare lavoro “distorcendo” il mercato; a tal scopo è un male minore dirottarli verso i consumatori disoccupati e resi passivi); quella di Brancaccio di ispirazione keynesiana (per quel che riguarda l’attenzione agli squilibri delle bilance commerciali) e kaleckiana(poiché interviene sulla distribuzione del reddito tra le classi sociali, anche nella prospettiva di ripristinare un “motore interno” della domanda e una maggiorepropensione al consumo). E’ però notevole il fatto che entrambe incontrerebbero la più risoluta opposizione da parte delle classi dirigenti tedesche, preoccupate solamente di mantenere una posizione di vantaggio senza pagare alcun prezzo redistributivo tra centro e periferia, utilizzando la consolidata retorica che colpevolizza i paesi periferici.
Tra gli economisti eterodossi c’è ormai una convergenza circa la necessità, per i paesi periferici, di uscire dall’euro, che si incontra, almeno in parte, con alcune affermazioni di economisti mainstream americani. Il ragionamento di fondo è che non vi sono i margini politici e temporali per realizzare tutte quelle riforme istituzionali, e sono tante, che l’Europa richiederebbe per funzionare, anche perché esse richiederebbero, per essere efficaci, di ribaltare gli stessi trattati fondativi dell’Unione monetaria.
Ma uscire dall’Euro, sia chiaro, non è una passeggiata. Tornare alla “sovranità monetaria” significa poco o nulla se poi si fa l’errore di mantenere l’indipendenza totale della Banca centrale dal governo, stabilita con il divorzio tra Banca d’Italia e Tesoro, causa prima della moltiplicazione del nostro debito pubblico. Tornare alla lira econvincere i debitori esteri in euro ad accettare la nuova valuta non sarebbe una passeggiata. Anche l’Argentina ha impiegato alcuni anni per risolvere problemi simili. A ciò si aggiunge il tema del nostro status nell’Unione europea e la necessaria uscita dal mercato unico per poter controllare la fuoriuscita di capitali e il commercio con l’estero.
Ma è proprio quest’ultimo punto, forse, quello davvero più interessante di tutti e, per certi versi, il più carico di potenzialità positive. Non perché il protezionismo sia, di per sé, una soluzione ai problemi italiani, ma perché il controllo dei movimenti dei capitali e delle merci potrebbe essere un punto di partenza per un ritorno dello Stato al ruolo di indirizzo dell’economia. Il ritorno quindi alla programmazione economica e all’intervento pubblico non solo per la ridistribuzione ma per lacreazione della ricchezzaUn’inversione del processo di privatizzazione dovrebbe essere il primo tassello di questa strategia. “Fuori dall’euro – ha scritto Sergio Cesaratto – l’Italia dovrebbe finalmente diventare un paese maturo, in ogni sua componente”.

DOVE C’E’ “CASTA” C’E’ ITALIA…


Quanto ci costano i “Palazzi” del Potere?
Quanto costa agli Italiani mantenere un tanto pletorico quanto ipertrofico apparato politico-istituzionale?
Che la (Casta) politica italiana sia la più costosa d’Europa (probabilmente tra le più dispendiose al mondo!) è un fatto notorio...

L’ITALIA, rispetto agli altri paesi europei, SPENDE in media IL 30% IN PIU’ PER I COSTI DELLA POLITICA.

Per l’esattezza (dati Uil): 

-                      OGNI CONTRIBUENTE DESTINA AL MANTENIMENTO DELLA macchina della REPUBBLICA circa “646 EURO” L’ANNO;

-                      I COSTI DELLA POLITICA ITALIANA (diretti e indiretti) AMMONTANO A circa “24,7 MILIARDI” DI EURO (cifra, per intendersi, pari al 2% del Pil nazionale e ad oltre il 12% dell’intero gettito Irpef!).

Più in dettaglio (secondo quanto emerge dai rapporti sui costi della politica presentati da Uil e Confindustria):
-                      GLI ORGANI DELLO STATO centrale (Presidenza della Repubblica, Camera, Senato, Corte Costituzionale, Presidenza del Consiglio e Ministeri) COSTANO ai cittadini “3,2 MILIARDI” DI EURO l’anno (in media, 82 euro per ogni contribuente!);
-                      le quattro più alte Istituzioni dello Stato (QUIRINALE, SENATO, CAMERA E CONSULTApesano sulle tasche degli Italiani per “2,2 MILIARDI” DI EURO;
-                      il solo funzionamento della PRESIDENZA DEL CONSIGLIO (dati 2011) comporta spese per “477 MILIONI”;
-                      i costi per il funzionamento dei MINISTERI (dati 2011) ammontano a “226 MILIONI”;
-                      per gli Organi di REGIONI, PROVINCE E COMUNI (Giunte e Consigli) si spendono “3,3 MILIARDI” (ossia 85 euro per contribuente!);
-                      ed Organi quali la Corte dei Conti, il Consiglio di Stato, il CNEL, il CSM ed il Consiglio Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia pesano sul bilancio dello Stato per “529 milioni” di euro.
Spulciando i conti delle due Camere, poi, si scopre che:
-                      dal 2001 al 2011, il bilancio della CAMERA DEI DEPUTATI è salito da 749 milioni di euro ad oltre “1 MILIARDO e 70 MILIONI”;
-                      mentre il bilancio del SENATO DELLA REPUBBLICA è passato da 349 milioni nel 2001 a “603 MILIONI” nel 2011. 
Secondo la Banca d’Italia, in barba a ogni crisi, DAL 2001 AL 2010 LA SPESA PER LA PUBBLICA AMINISTRAZIONE E’ PASSATA (in rapporto al Pil) dal 48,1% AL 51,2%.

USCIRE DALL'EURO NON E' UN DRAMMA E' UNA LIBERAZIONE


L’Euro non può essere un tabù. Ripristinare la leva del cambio consente non solo di agire sul livello dei prezzi relativi dei beni prodotti in paesi diversi ma anche sul valore delle attività e passività finanziarie senza influire sui rischi di rimborso del capitale.
Il disordine regna sovrano in Europa. Se il presidente della Bce Mario Draghi asserisce in un’intervista al quotidiano Le Monde che l’euro è irreversibile, il cancelliere tedesco Merkel si dichiara «ottimista» ma non sicura della sopravvivenza dell’euro. La scorsa settimana l’Eurosistema ha deciso di non accettare titoli di stato emessi o garantiti dalla Repubblica ellenica come collaterale per ottenere prestiti fino alla «conclusione dell’esame condotto dalla Commissione europea, in raccordo con la Bce e l’Fmi, sui progressi compiuti dalla Grecia»; il Fondo Monetario Internazionale, a sua volta, secondo quanto riportato da autorevoli fonti di stampa, starebbe valutando l’idea di bloccare gli aiuti alla Grecia. Il mese di luglio è ormai trascorso senza che siano state avviate misure concrete per rendere operativo il cosiddetto «scudo anti spread» che era stato approvato alla fine di giugno, con grande risalto mediatico, dai capi di stato e di governo dell’Unione europea.
La prolungata assenza di indicazioni precise, convergenti e realizzabili, oltre che di misure concrete, da parte di coloro che hanno il potere di prendere decisioni rilevanti per i mercati finanziari ha favorito l’attuale drammatica situazione.
Malgrado l’elevatissimo rendimento atteso, le decisioni di disinvestimento dai titoli degli stati periferici dell’area dell’euro sopravanzano sempre più largamente le decisioni di acquisto. Il divario tra il rendimento dei titoli decennali dello stato spagnolo e quelli analoghi tedeschi ha ampiamente superato i 600 punti base, quello sui titoli italiani ha nuovamente valicato la soglia dei 500 punti base; si tratta di livelli insostenibili per le finanze pubbliche e l’economia di entrambi gli stati che incorporano un’elevatissima probabilità di fallimento.
In questa situazione l’Europa e i governi degli stati nazionali non possono più tergiversare. L’economia reale e finanziaria dei paesi periferici dell’Eurozona è in via di smantellamento; in Grecia si intensificano i fenomeni di denutrizione di ampie fasce di popolazione, tra cui tanti bambini; dovunque la disoccupazione ha raggiunto livelli insostenibili, anche se i salari e le pensioni sono stati drasticamente diminuiti e le tutele sociali smantellate. Il fallimento delle politiche economiche neoliberiste, che in Italia sono sostanzialmente proseguite senza soluzione di continuità rispetto al passato, sollecita un immediato cambiamento negli indirizzi di governo, ma purtroppo è probabile che sia troppo tardi perché possa avere effetto. La situazione è precipitata a un punto tale che in assenza di acquisti di quantità elevatissime di titoli di stato da parte dell’Eurosistema, non si può che predisporre un’uscita ordinata dalla moneta unica.
Non è detto che sia un dramma; l’euro non può essere un tabù. Con l’attuale livello di sviluppo delle tecnologie informatiche e delle reti telematiche, la moneta unica costituisce essenzialmente un mero valore simbolico, perché i vantaggi negli scambi sono trascurabili; viceversa, in assenza di un piano di convergenza verso un’unione istituzionale ed economica, la moneta unica costituisce un insuperabile fattore di rigidità.
L’esperienza degli ultimi anni ha dimostrato che in situazioni di squilibrio negli scambi reali e finanziari tra nazioni, gli interventi sul costo del lavoro, anche drastici, tendono ad accentuare gli squilibri piuttosto che a superarli; ciò è stato tanto più vero quando non sono stati accompagnati da efficaci interventi redistributivi del reddito e della ricchezza. Ripristinare la leva del cambio consente non solo di agire sul livello dei prezzi relativi dei beni prodotti in paesi diversi ma anche sul valore delle attività e passività finanziarie senza influire sui rischi di rimborso del capitale. Anche sui mercati internazionali gli effetti sarebbero trascurabili perché l’euro è stato finora utilizzato in misura molto contenuta come moneta internazionale di riserva, funzione mantenuta in modo pressoché monopolistico dal dollaro.
Va poi considerato che l’uscita dalla moneta unica potrebbe accompagnarsi al potenziamento del sistema europeo di banche centrali del quale fanno parte gli stati che non hanno adottato l’euro (ad esempio Gran Bretagna, Danimarca, Svezia) per irrobustire il coordinamento delle politiche finanziarie tra i Paesi Ue. Di per sé, l’eventuale ritorno alle monete nazionali non è un ostacolo alla costruzione dell’Europa Unita e agli interventi di rafforzamento delle istituzioni comunitarie in una prospettiva democratica e meno tecnocratica.
di Pitagora da il manifesto del 24 luglio 2012, via sbilanciamoci.info


fonte

giovedì 26 luglio 2012

E' FINITA..E' FINITA PER L'ITALIA


Non posso usare altre parole, mi si perdoni: ora siamo nella merda davvero.

Ieri sera prima di una conferenza in Sardegna un blogger m’intervista e mi chiede: “Facciamo default?”. Io: “Non credo, perché temo che Draghi aprirà all’ultimo i rubinetti della BCE, o daranno al MES una licenza bancaria”. (poi vi spiego)
Stamattina l’amico Mauro Valentini di Misano mi manda un sms: “Si fa default?”, gli rispondo la stessa cosa (e tenete a mente il verbo “temo” che ho usato con entrambi).
Ok, sono le prime ore del pomeriggio di oggi giovedì 26 luglio, e le agenzie battono la notizia: Mario Draghi a Londra ha detto che la BCE aprirà i rubinetti. In Austria, il governatore della Banca Centrale Ewald Nowotny già da giorni aveva dichiarato che si sta discutendo se dare al MES una licenza bancaria.
E siamo veramente, ma veramente fottuti adesso.
Prima di continuare mi si permetta una ricordo: era il giorno 15 novembre 2011, io ero ospite a Matrix, Canale 5. Urlai che Mario Draghi era un golpista perché aveva omesso scientemente di usare i poteri della BCE di calmare la speculazione contro titoli di Stato italiani, comprandoli in massa. Era la speculazione che pochi giorni prima aveva rovesciato il governo e instaurato la dittatura finanziaria della Troika e di Monti (se si comprano grandi quantità di titoli i tassi crollano, l’Italia non sarebbe arrivata sull’orlo del default in quei giorni, e Monti non sarebbe neppure stato citato). A Matrix mi fu risposto con sufficienza che Draghi non avrebbe potuto, che la BCE non può mai comprare titoli di Stato per aiutare i governi. Risposi che era una menzogna, citai il programma SMP Bonds Purchases della BCE che dà ad essa potere di acquistare titoli eccome, e Draghi non lo fece, condannò l’Italia a cadere nella mani del criminale Monti. Avevo totalmente ragione, leggete sotto. Draghi è un’oscenità vivente, perché oggi si ricorda di colpo che quel programma SMP dopotutto c’è e lo userà, eccome, ma non per salvare la democrazia di un Paese, no, bensì per assicurarsi che essa venga del tutto annientata, leggete sotto.
Cos’è accaduto, che significa.
E’ accaduto che il paradigma MMT fondante per spiegare la crisi dell’euro – e cioè che i mercati continuano a sfiduciare l’Italia (e altri)solo perché abbiamo perso la capacità di emettere la nostra moneta sovrana. Cioè: essi, i mercati, sanno che adesso, con l’euro, non possiamo ripagare sempre e puntuali il nostro debito, dato che l’euro non è liberamente emesso dall’Italia che lo deve prendere in prestito dalle banche, per cui temono che facciamo default sui pagamenti, e dunque ci sfiduciano in una spirale verso il basso man mano che ci indebitiamo, ma è proprio questa spirale che ci porta al default – stava portando l’Italia e la Spagna al default entro pochi giorni o settimane. Sarebbe stata la fine dell’Eurozona, in una implosione di ordine epocale e mai così devastante nella Storia… ma devastante per Francia e Germania, e NON PER NOI. Mario Draghi sa questo, e non può fare altro se non eseguire gli ordini di Angela Merkel e di Francois Hollande: salva l’euro a qualsiasi costo, qualsiasi! Draghi riscopre il programma SMP Bonds Purchases della BCE che dà ad essa potere di acquistare i titoli di Stato dei Paesi nei guai, e a Londra oggi annuncia che la BCE farà esattamente questo. Costruisce un giro di parole pietoso per trovare il cavillo legal-semantico a giustificazione di ciò che solo 8 mesi fa era “da escludersi”, ma lo fa. Peccato che quel cavillo legal-semantico si applicasse pari pari anche allora, falsario.
Ma si faccia attenzione.
I mercati non si sarebbero mai placati oggi se non sapessero che la BCE è l’emissore sovrano dell’euro, e quindi può in effetti comprare titoli quasi all’infinito. Con questa garanzia, e solo con questa, i mercati si sono calmati, e si calmeranno.
Poi si era già espresso poco prima il governatore della Banca Centrale austriaca Ewald Nowotny (si saranno coordinati? nooo…) che parlava della possibilità di dare al MES una licenza bancaria. Il MES è il nuovo fondo ‘salva’ Stati dell’Eurozona, che però di per sé ha nelle casse poco più che due soldi. Pensate che un salvataggio dell’Italia azzererebbe le casse del MES in meno di 3 mesi. E allora cosa fanno trapelare i banchieri centrali della UE? Che il MES potrebbe essere trasformato in banca. E cosa significa? In breve: che se diventa banca avrà il sostegno illimitato dei finanziamenti della BCE, che è l’emissore illimitato degli euro, e quindi il MES potrà comprare enormi quantità di titoli di Stato dei Paesi come il nostro di fatto garantendo ai mercati che, di nuovo, esiste un pagatore dei loro crediti (i titoli nostri e spagnoli) senza limiti. Il trucco è fatto. I mercati si calmano.
Ma cosa significa se si calmano? Significa, e lo dico con un livello di serietà totale, una catastrofe democratica, economica e civica qui da noi senza precedenti nella Storia d’Italia. Significa che Italia e Spagna e Grecia staranno dentro l’Eurozona, perché con i mercati calmi, e coi tassi sui titoli che scendono dal 7% al 4%, il default è scongiurato. Bella notizia eh? Come dire: il fiume sarebbe straripato e avrebbe allagato la galera permettendo ai prigionieri politici asserragliati sul tetto e stremati di fame e sete di nuotare verso la libertà. Ma no. Hanno arginato il fiume apposta.
Significa che ci terranno dentro la macchina dell’economicidio della nostra terra, bloccati in un limbo infame dove da una parte non cresceremo mai perché sempre privi di moneta sovrana, sempre schiavi di tecnocrati non eletti, sempre comunque ricattati dal fatto che ogni centesimo per l’Italia va preso in prestito dalle banche speculative, e dall’altra proprio questa perenne e cementata precarietà e impoverimento saranno la scusa per imporci le Austerità a stipendi, pensioni e servizi che ammazzano le imprese, le privatizzazioni selvagge di ogni bene e servizi pubblico residuo, e per impedirci di respirare nella crescita, e dunque di agire la democrazia.
Siamo nella merda, non ci sono altre parole, davvero. Se Draghi apre i rubinetti del programma SMP Bonds Purchases e se il MES diventa banca è finita, è finita per i vostri figli, è finita per la MMT in Italia, è finita per tutto ciò che conoscemmo come Stato. E’ finita per l’Italia.
Devo aggiungere solo, ma solo per dovere intellettuale, che un’estremissima possibilità di salvezza c’è. La rappresenta l’incognita di un ritardo politico nelle due mosse di cui sopra, ad esempio se la Corte Costituzionale tedesca bocciasse il MES a settembre, o altre estreme ratio del genere. Allora potrebbe succedere che i mercati, bestie assurde e selvagge per definizione, potrebbero al primo odore di ritardo farsi prendere da un panico totale e auto-alimentante, e causare il default dell’Italia lo stesso. Ma credetemi: è come sperare che il killer che ti deve ammazzare venga colto da ictus mentre aziona il grilletto.
Questo è quanto. Non so cosa altro dire. Mi dispiace, davvero, e proprio ieri sera a Nuoro ero a una tavolata il cui capotavola era una bella mamma con un fagottino di un mese al seno. Non dico altro.

“Prendere e mentire”: questo dovrebbe essere marchiato sulla fronte dell'uomo bianco



DISCORSO DEL CAPO DELLE TESTE PIATTE, CHARLOT (1876)

“Prendere e mentire”: questo dovrebbe essere marchiato sulla fronte dell'uomo bianco, così com'egli fa sulle cosce dei cavalli che ruba a noi.
Se il Grande Spirito lo avesse contrassegnato con un'etichetta per avvisarci del pericolo, avremmo respinto l'uomo bianco. Ma nella sua debolezza e povertà noi gli demmo da mangiare e gli offrimmo il nostro affetto. Gli donammo la nostra amicizia e gli mostrammo i guadi e i passi attraverso le nostre terre.
Ed egli ci invitò ad apporre i nostri nomi sui suoi documenti, facendoci promesse che unì a giuramenti nel nome del sole e del presidente degli Stati Uniti.
Questo presidente ci promise cose che non ci diede mai e che sapevamo non ci avrebbe mai concesso. E dopo le promesse egli ci minacciò coi suoi soldati, le sue prigioni, le sue catene di ferro.
Ora siamo poveri, orfani di padre... L'uomo bianco ha inflitto il suo dominio su di noi...
Come sapete l'uomo bianco è freddo, senza pietà, superbo e arrogante. Tu lo guardi, lui ti guarda, e che cosa vedi? I suoi occhi da pesce scorrono su di te. L'astuzia e l'invidia gli stanno attaccate come le proprie mani e i propri piedi.
Le leggi dell'uomo bianco ci hanno forse mai dato un filo d'erba, un albero, un'anatra, una pernice, una trota? Egli ti deruba come il ghiottone che rubacchia la tua merce. L'uomo bianco viene sempre, sempre di più: egli confisca sempre di più.
E sporca ciò che non prende. La natura era sacra. Perfino quando un indiano viaggiava, o presso un accampamento, era suo desiderio lasciarsi dietro la minor traccia possibile del suo passaggio. Cercava di non lasciare impronte, di non spezzare rami, di non disturbare nessuna foglia, di cancellare i brutti segni dei fuochi e dei bivacchi.
Voleva muoversi attraverso il territorio così delicatamente come la brezza. Come era nato, perfino quando veniva sepolto, un indiano cercava di rendere la sua tomba meno ingombrante possibile.
Alcuni indiani provavano talmente antipatia verso il deturpamento della natura che l'uomo bianco non riuscì a persuaderli, anche quando essi praticavano già l'agricoltura da tempo, ad usare l'aratro, poiché questo avrebbe squarciato la viva carne di loro madre, la terra.


BRANI TRATTI DA IL MIO SPIRITO SI INNALZA, di CAPO DAN GEORGE

I nostri figli devono andare a scuola per essere civilizzati. Lì vengono a conoscenza delle chiese. Sembra che esse siano state costruite con l'intenzione di addossarsi colpe l'uno con l'altro. Quando la gente trova da ridire sulle chiese anche Dio viene coinvolto nelle loro contese.
La chiesa di mio nonno non era costruita da uomini: quindi lui non avrebbe mai potuto insegnarmi a litigare con Dio. La nostra chiesa era la natura.
Abbiamo perso così tanto. Sebbene le circostanze fossero contro di noi, la colpa è anche nostra. Non abbiamo saputo affrontare lo shock che l'uomo bianco ci inflisse.
Sono nato in una cultura che viveva in case aperte a tutti. Tutti i figli di mio nonno e le loro famiglie vivevano in un'abitazione di 26 metri e mezzo di lunghezza, vicino alla spiaggia, lungo una insenatura.
Le loro camere da letto erano separate da una tenda composta di canne, ma un unico fuoco comune nel mezzo serviva ai bisogni culinari di tutti.
In case come queste la gente imparava a vivere e a rispettare i diritti di ognuno.
I bambini dividevano i pensieri del mondo degli adulti e si trovavano circondati da zie e zii e cugini che li amavano e non li minacciavano.
Oltre a questa reciproca accettazione, c'era un profondo rispetto per ogni cosa presente in natura che li circondasse. Per mio padre la terra era la sua seconda madre. Era un dono del Grande Spirito e l'unico modo di ringraziarlo era quello di rispettare i suoi doni.
L'uomo bianco invece ama solo le cose che possiede: non ha mai imparato ad amare le cose che sono al di fuori e al di sopra di lui.
In realtà o l'uomo ama tutto il creato o non amerà niente di esso.
La mia cultura dava valore all'amicizia e alla compagnia, e non guardava alla privacy come a una cosa cui tenersi aggrappati, poiché la privacy costruisce muri su muri e promuove la sfiducia.
La mia cultura viveva in grandi comunità familiari, e fin dall'infanzia le persone imparavano a vivere con gli altri.
La mia gente non dava valore all'accaparramento di beni privati: tale azione era disonorevole per la nostra gente.
L'indiano guardava a tutte le cose presenti in natura come se appartenessero a lui e supponeva di dividerle con gli altri e di prendere solo quelle di cui aveva bisogno. Ognuno ama dare nello stesso modo in cui riceve. Nessuno desidera continuamente ricevere.
Tra poco sarà troppo tardi per conoscere la mia cultura, poiché l'integrazione ci sovrasta e presto non avremo valori se non i vostri. Già molti fra i nostri giovani hanno dimenticato le antiche usanze, anche perché sono stati presi in giro con disprezzo e ironia e indotti a vergognarsi dei loro modi indiani.

LETTERA DEL PRESIDENTE USA A. JACKSON (1767-1845) INDIRIZZATA ALLA TRIBÙ' INDIANA DEI SEMINOLE, CHE NON VOLEVA ABBANDONARE LE TERRE CHE LE ERANO STATE GARANTITE DAI TRATTATI (febbraio 1835).
Miei figli... gli uomini bianchi sono venuti a vivere tutt'intorno a voi. La selvaggina è scomparsa dalla vostra terra e la vostra gente è povera e affamata...
Miei figli non ho mai ingannato e non ingannerò mai gli uomini rossi, ma vi dico che dovete andarvene e che ve ne andrete.
Anche se aveste il diritto di restare, come potreste vivere dove siete ora? Ma non avete tale diritto e dovete partire, pacificamente e volontariamente, perché nel caso in cui alcuni dei vostri giovani tentassero di opporsi alle nostre disposizioni, ho ordinato che venga inviata una larga forza militare.
Prego il Grande Spirito che vi suggerisca di fare ciò che è giusto.

LETTERA DI CAPO INDIANO SEATHL, DELLA TRIBÙ' DI DUWAMISH, AL PRESIDENTE USA F. PIERCE (1855).
Il grande capo di Washington ci ha mandato a dire che desidera comprare la nostra terra: ci ha assicurato anche la sua amicizia e la sua benevolenza. Ciò è gentile da parte sua, poiché sappiamo che la nostra amicizia non gli è necessaria. Tuttavia, se non accetteremo, l'uomo bianco verrà con le armi e ci strapperà la nostra terra.
Come puoi comprare o vendere il cielo, il calore della terra? Questa possibilità ci è estranea. Noi non siamo i padroni della purezza dell'aria o dello splendore dell'acqua. Noi possiamo decidere solo del nostro tempo. Tutta questa terra è sacra per la mia gente.
L'uomo bianco non comprende il nostro modo di vivere. Per lui una zolla di terra è uguale all'altra. Lui è uno straniero che viene di notte e spoglia la terra di tutte le sue ricchezze. La terra non è sua sorella, bensì sua nemica, e dopo averla svuotata, lui se ne va via.
Si lascia dietro di sé la tomba di suo padre, senza rimorso di coscienza. Rapina la terra dei suoi figli. Dimentica le sepolture dei suoi antenati e il diritto dei figli.
Il suo guadagno impoverirà la terra e dietro di sé lascerà il deserto. La vista delle sue città è un tormento agli occhi dell'uomo rosso. Ma forse questo è così perché l'uomo rosso è un selvaggio che non capisce nulla.
Non si può incontrare pace nelle città dell'uomo bianco. Il rumore delle città è un affronto alle orecchie. Che specie di vita è quella in cui l'uomo non può ascoltare la voce del corvo notturno o il chiacchierio delle rane nella palude, durante la notte?
L'aria è preziosa per l'uomo rosso. Non sembra che l'uomo bianco si interessi dell'aria che respira. Come un moribondo, egli è insensibile al cattivo odore.
L'uomo bianco deve trattare gli animali come se fossero suoi fratelli. Ho visto migliaia di bisonti marcire nelle praterie abbandonate dall'uomo bianco, abbattuti da fucilate sparate dal treno in corsa. I bisonti noi li uccidiamo solo per sfamarci.
Se tutti gli animali venissero sterminati, gli uomini morirebbero di solitudine spirituale, perché tutto ciò che succede agli animali può capitare anche agli uomini. Tutte le cose sono poste in relazione tra loro. Tutto ciò che offende la terra, offende anche i figli della terra.
I nostri figli videro i nostri padri umiliati nella sconfitta. I nostri guerrieri soccombono sotto il peso della vergogna. E, dopo la sconfitta, passano il tempo oziando e avvelenando il loro corpo con cibi dolci e bevande alcoliche.
Il nostro Dio è il medesimo Dio dell'uomo bianco. Pensi, per caso, che lo puoi possedere come desideri possedere la nostra terra? Egli è il Dio dell'umanità intera. E ama ugualmente l'uomo rosso come l'uomo bianco. La terra è amata da Lui.
Anche l'uomo bianco va scomparendo dalla faccia della terra, e forse in maniera più rapida delle altre razze. Contamina persino il luogo in cui dorme!
Se accetteremo la tua offerta, è per garantirci le riserve che ci hai promesso. Là forse potremo vivere gli ultimi giorni come desideriamo.

fonte http://www.homolaicus.com/storia/moderna/indiani_america.htm