martedì 4 ottobre 2011

FARMACI BLOCKBUSTERS


Prima di andare a constatare come né la tarda età né l'infanzia riescano ad innestare rudimenti di scrupolo morale nei mercanti di pillole, è tempo di parlare dei cosiddetti "farmaci blockbusters". Con questa terminologia si designano i farmaci campioni delle vendite: come si trattasse di detersivi, autovetture, televisori coinvolti in una gara a chi ne piazza di più e più guadagna. Già questa dichiarata aspirazione al primato la dice lunga su fini, morale, idealità delle case farmaceutiche e mette di fronte anche gli ottimisti (spontanei od a cottimo) di fronte ad un'evidenza incontestabile.
Sostanzialmente questo concetto, accompagnato dalla relativa terminologia gergale, nasce dai fasti Glaxo dell'era Paul Girolami ed in particolare dal famoso Zantac: farmaco tutt'altro che prodigioso e tutt'altro che immune da magagne nascoste. I pareri che contano nella politica farmaceutica non sono quelli di ricercatori e scienziati, ma quelli degli analisti finanziari. Dell'immortalato e nobilitato....Paul, il ricercatore dott. Jack, che aveva abbandonato schifato la Glaxo sbattendo la porta, disse in un'intervista: "per parlarci chiaro, quell'uomo non ha la minima considerazione né per i ricercatori, né per la scienza ed i suoi princìpi. Gli interessa solo il denaro. Non credo gli importi di lavorare bene".
Se non interessava a Girolami, alla Glaxo ed alle altre multinazionali produrre farmaci realmente efficaci e necessari, importava ed importa ancor meno a chi investe per speculare e per governare a bacchetta il mondo intero. Marc Mayer, esponente della Sandford C. Bernstein & Co, colse bene come il "nuovo corso" farmaceutico fosse una miniera d'oro sia per i produttori di farmaci che per l'esercito di jene, sciacalli, vampiri, zecche, sanguisughe & affini di tutte le borse del mondo: "...
valeva la pena investire grosse cifre in quei farmaci destinati alla cura di malattie croniche in grado di garantire un ampio margine di guadagno" dichiarò durante l'intervista rilasciata nel 1991 alla rivista Fortune. A questo "din" fece subito eco il "dan" di un'altra mignatta della finanza, analista di Morgan Stanley: "il farmaco che negli anni '70 valeva 50 milioni di dollari all'anno, nel decennio successivo garantiva un ritorno dieci volte maggiore". Come nota la Petersen, "..si venne così a delineare a poco a poco una serie di strategie di vendita che gli addetti ai lavori definirono ‘modello blockbuster'. La ricetta era più o meno questa: concentrare gli investimenti finanziari e le attività di marketing sui farmaci destinati a curare malattie croniche o problemi come bruciori di stomaco, colesterolo alto e depressione".


La ricetta  - pubblicità a tutto campo+malattie croniche (o rese croniche) - è stata la carta vincente per i giganti del farmaco, la carta perdente per la salute dell'umanità. I numeri, del resto, parlano chiaro: Pfitzer nel 1947 dedicava alle spese promozionali e amministrative il 6% degli incassi, cinquant'anni dopo il 40%.
Ma un altro è il punto fondamentale, il più importante di tutti, perché consente di comprendere l'anima nera della medicina contemporanea e la sua filosofia mercantilistica. Scrive l'autrice (pag. 180): "le medicine che garantivano un migliore ritorno economico erano quelle che non guarivano da nessuna malattia,limitandosi a curarne i sintomi. Il paziente che comprava questi medicinali si trasformava né più né meno in una sicura fonte di reddito, proprio come il fumatore o l'amante del caffè espresso lo erano per la tabaccheria e il bar, contribuendo a garantire anni di considerevoli guadagni alla società produttrice".
Torniamo ad avvertire il lettore: questa è la chiave di volta e la spiegazione di linee guida, farmaci imposti, farmaci e sostanze censurate, ricerche consentite, ricerche proibite, programmi di studio universitari, stage e master di aggiornamento, commissioni ministeriali, comitati etici e di tutta la costellazione di entità che oggi possono imporre e vietare, soffocando, insieme alla civiltà scientifica, l'aspirazione dell'umanità alla salute ed al benessere.
Tanto per intenderci, un farmaco blockbuster, al tempo del conio di questo neologismo, doveva vendere almeno 500 milioni di dollari l'anno. Ora si parte da 1 miliardo di dollari (cifra che, per avere un metro di misura immediato, significa duemila miliardi delle vecchie lire), per puntare a multipli. Quindi, un blockbuster che si rispetti realizza almeno il fatturato della Ferrari auto (€1,9 mld. Nel 2010).

I fatturati delle sette e più sorelle del farmaco raggiungono livelli inimmaginabili. Ray Moynihan e Alan Cassels, nel loro "Farmaci che ammalano", parlano di un fatturato USA di 500 miliardi di dollari (circa 1 milione di miliardi di lire), superiore al PIL (Prodotto Interno Lordo) di parecchie nazioni, con un crescendo non solo ininterrotto, ma anche logaritmico. Dell'utile netto - senza confronti nei riguardi di qualsiasi attività economica umana - si è già parlato. Ci limitiamo ad osservare che, se da una parte il pur titanico profitto sarebbe doppio senza il costo di capillari ed endemiche corruzioni, dall'altra ungere significa investire, e non soltanto spendere, in quanto:
- assicura una vivificante rete commerciale di corrotti (cattedratici, medici, politici, imbrattacarte mediatici, testimonial ecc.);
- presidia il sistematico progresso del giro d'affari;
- toglie di mezzo la concorrenza della vera ricerca, della vera medicina, di una efficace farmacopea.
Senza rinunciare volontariamente a qualche miliarduccio in...sacre unzioni, prima o poi si sarebbe obbligati a rinunciare a cifre maggiori di introiti. Attraverso questa politica, le chiocce del farmaco "...realizzano profitti a velocità più che doppia rispetto al resto del mercato...e...non conoscono crisi".
Ma attenzione, non esistono solo i blockbuster ma anche i "mega-blockbuster"! E non si tratta solo di cifre, ma del rafforzarsi di una mentalità ancor più totalizzante. Citiamo la Petersen: "La ricetta del blockbuster farmaceutico funzionava talmente bene cheWall Street si innamorò ben presto dei profitti elevati che generava. Già alla fine degli anni '90, per una casa farmaceutica non bastava più poter mostrare un incremento rispettabile delle vendite e dei profitti annuali. Dalle maggiori case farmaceutiche gli investitori ormai si aspettavano incrementi come minimo del 15%, se non decisamente superiori. Gli azionisti si affrettavano a punire qualunque produttore osasse deludere le loro aspettative annunciando guadagni in crescita rapida, ma comunque leggermente inferiori a quanto Wall Street si attendeva....In breve, persino un farmaco capace di vendite per un miliardo di dollari all'anno non fu più abbastanza".

Si comprende quindi l'obbligata entrata in funzione di un meccanismo automatico di pressioni incrociate. Anche qualora lo staff dirigenziale di un big del farmaco non se la sentisse di superare determinati limiti morali, non esisterebbe alternativa ad un corso ormai obbligato: un po' come chi prima sobilla la folla e poi si trova, anche avesse cambiato idea, ad esserne sospinto e strattonato. Se non assecondi l'incendio che hai appiccato, o sei sostituito o scompari. Una delle conseguenze più gravi è che "....
composti sperimentali che potevano rivelarsi provvidenziali per la salvezza di molti pazienti, ma che non avrebbero mai potuto garantire le vendite di un mega-blockbuster sarebbero stati ceduti in licenza ad altre società produttrici o abbandonati su uno scaffale a prendere la polvere".
E questo è niente. Immaginiamoci cosa accade (
ed è accaduto), per sostanze che non solo non rendono, ma insidiano o vanificano le mega-vendite!!!! Ve lo diciamo subito: rischia di scapparci il morto. Enrico Mattei fuincidentato per affari e cifre immensamente inferiori. Anche se oggi, con il progresso delle tecniche mediatiche e l'ubiquitario controllo della società, nella maggior parte dei casi basta ignorare, isolare o mistificare. 

Insieme ai blockbusters, veri purosangue, assi ed orgoglio dei farmaco-Arpagoni, trainano il carro migliaia di tozzi e robusti cavalli normanni, che assicurano un profitto unitariamente meno clamoroso, ma da non buttar via. Se i plebei criniti portano a casa meno soldi, si tratta comunque di soldi tanti e sicuri, e che non costano nulla; in secondo luogo non bisogna dimenticare come diversi di questi abbiano dei
magnifici effetti collaterali che, diagnosticati per malattie autonome e non da farmaco, provocheranno una domanda di altri farmaci per combattere (o far finta di combattere) mali indotti da loro colleghi. Basti pensare al sinergismo aspirinetta-gastoprotettori.Un'aspirinetta al giorno toglie l'arteria di torno. Basta aver avuto episodi di ipertensione, qualche problema circolatorio, e portarsi almeno una decina di lustri sulle spalle. Il bello (si fa per dire) è che non si tratta di prescrizioni temporanee, ma sine die. La sclerotizzazione arteriosa, che giunge inesorabile col tempo, frutterà tanti esami diagnostici e tante capsuline multicolori, particolarmente abbondanti se, con l'aiuto dell'età avanzata e di inflessibili giornalieri diuretici,  si potrà contare su succulenti sintomi di arteriosclerosi e, con un po' di fortuna,  sull'induzione o accelerazione di quel pozzo senza fondo che è l'aureo Alzheimer. Niente di male per le specialità povere ed infeconde, dalle mammelle rinsecchite: c'è sempre tempo per pensionarle e magari sostituirle quando, arruolato qualcuno dei luminari che scalpitano per farsi ungere, assemblato qualche studio da pubblicare su riviste compiacenti, scoperta una nuova malattia, si varerà finalmente un nuovo farmaco-transatlantico dagli oblò sfavillanti, sulla cui prua qualche coniglietta di Play Boy manderà a rompersi una bottiglia di champagne, tra lacrime di Girolamini commossi e gli "evviva" degli investitori di borsa.
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