giovedì 25 agosto 2011

NANOPATOLOGIE,IL MICROSCOPIO E BEPPE GRILLO


Come dettagliatamente raccontato nel mio libro divulgativo Il Girone delle Polveri Sottili (Macroedizioni) circolato in maniera quasi carbonara, tra il 1990 e il 1998 io fui protagonista insieme con mia moglie Antonietta Gatti - che fu molto più protagonista di me - di una scoperta destinata ad aprire un mondo per la Medicina. Diversi articoli scientifici ne parlano e così il libro, pure scientifico, di mia moglie e mio, intitolato Nanopathology (edito da Pan Stanford Publishing, introvabile in Italia ma disponibile presso le biblioteche delle maggiori università del mondo), eppure il grande pubblico non ne sa niente. Non sa nemmeno che la scoperta, sempre che sappia della sua esistenza, è opera di italiani.
In soldoni, ciò che scoprimmo allora - e che ormai è confermato al di là di ogni dubbio da anni di ricerca e da oltre mille casi clinici studiati - è che le polveri sottili e ultrasottili che vengono inalate ed ingerite dal soggetto restano imprigionate vita natural durante nel suo organismo e sono capaci d’innescare una lunga serie di malattie che noi battezzammo “nanopatologie” proprio per la loro origine da granelli nanometrici.
Ciò di cui parliamo sono polveri che vanno da qualche micron di diametro giù fino ai nanometri, vale a dire i millesimi di micron, e quelle di cui ci occupiamo hanno la particolarità di non essere né biodegradabili né biocompatibili.
Fino a che noi non dimostrammo il contrario, si era sempre dato per scontato, peraltro senza prove ma come atto di fede che di scientifico non ha nulla, che quelle polveri entrassero sì ma venissero in qualche modo eliminate. In che modo, pare che nessuno se lo fosse mai chiesto.
Quella che, all’apparenza, sembrava una scoperta scientifica e basta, si rivelò invece subito una bomba. Le polveri di cui ci occupiamo, infatti, piccolissime e di composizione tanto insolita, sono prodotte principalmente dai motori a scoppio, dall’incenerimento dei rifiuti o delle cosiddette biomasse, dai cementifici (che spessissimo bruciano l’immondizia più immonda), dalle fonderie e, in genere da ogni combustione. Ad aggravare le cose c’è il fatto che polveri analoghe prodotte in laboratorio per le caratteristiche interessantissime che sono loro peculiari vengono aggiunte ad alimenti (dove polveri tossiche si trovano anche come inquinanti casuali) e a farmaci, vaccini compresi.
E, almeno da un certo punto di vista, forse ancora peggio, quelle polveri sono prodotte dalle esplosioni di ordigni bellici come, ad esempio, i proiettili all’uranio impoverito il cui uso era allora, una decina d’anni fa, negato dalle autorità militari.
Insomma, il coperchio che quella scoperta sollevò si rivelò immediatamente a dir poco imbarazzante per chi conduce affari miliardari a livello planetario.
E, allora, l’accademia italiana che sopravvive al suo sfacelo anche perché si presta disinvoltamente a coprire le mille e una porcheria perpetrata dai personaggi di cui sopra si difese trattandoci da cialtroni e negando l’evidenza della nostra scoperta.
Questo fino al 2002, quando la Comunità Europea si accorse che i cialtroni erano altri e mise mia moglie a capo di un progetto di ricerca da lei stessa ideato intitolato Nanopathology, un progetto che includeva anche le Università di Mainz in Germania e di Cambridge in Gran Bretagna.
In parte con i soldi della Comunità e in parte con fondi nostri acquistammo allora il microscopio elettronico indispensabile per i nostri studi (fino ad allora avevamo lavorato con quello dell’Università di Modena, ormai diventato insufficiente per prestazioni e per disponibilità) e i risultati fioccavano. Fioccavano tanto che si manovrò con successo per portarci via l’apparecchio, e chi è interessato al come può leggersi il mio libro Il Girone delle Polveri Sottili prima citato.
Fu in quel momento - e si era a fine febbraio del 2006 – che, per riparare al guaio, si aggiunsero altri guai.
Parlando con Beppe Grillo che conoscevo da oltre un anno perché lui si era fatto introdurre a me da uno scienziato italiano che lavora al Politecnico di Zurigo, gli raccontai della disavventura, e lui colse la palla al balzo: mi propose d’iniziare una raccolta fondi che lui stesso avrebbe pubblicizzato per comprarci un nuovo microscopio. Il costo dell’oggetto? Ammontava a 378mila euro. Una bazzecola, mi assicurò lui.
Per una mia imperdonabile ingenuità, per evitare che qualcuno pensasse che io volessi impadronirmi di un apparecchio di quel pregio, proposi allora d’intestarne la proprietà ad una fondazione o ad una onlus e, per un disgraziato incrocio di circostanze rivelatesi poi catastrofiche, la scelta cadde su tale Associazione Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia presieduta da tale avvocatessa Marina Bortolani di cui non mi risultano, però, iscrizioni ad alcun ordine degli avvocati.
Grillo iniziò subito a parlare dell’iniziativa nei suoi spettacoli, cui avevo già saltuariamente partecipato e ai quali, da quel momento, io intervenivo molto più assiduamente per una decina di minuti o un quarto d’ora al massimo spiegando che diavolo fossero le nanopatologie.
Per informazione: tra le nanopatologie si contano ictus, infarti cardiaci, tromboembolie polmonari, diverse forme di cancro, malformazioni fetali, aborti, malattie neurologiche, malattie endocrine, sterilità maschile, stanchezza cronica, ecc.
Per Grillo il nostro problema era una piccola manna dal cielo: aveva qualcosa di nuovo da dire, si ammantava di eroismo personale e, cosa per lui tutt’altro che trascurabile, io ero gratis.
Sull’onda di questi spettacoli e delle conferenze che io tenevo in tutta Italia (ne tenni oltre 200 in un anno a mia cura e spese), il denaro cominciò ad arrivare, confluendo in un conto corrente che la signora Bortolani aveva acceso presso la Banca Etica a nome della sua onlus.
Mia moglie ed io cominciammo presto ad insospettirci per il comportamento della sullodata Bortolani: a dispetto delle nostre insistenze, non ci fu permesso né allora né poi di vedere i conti della banca. Perché? Quanto stava entrando? Non stava, per caso, uscendo indebitamente denaro? Perché un giorno il denaro fu trasferito da Banca Etica ad Unipol? Per i movimenti, qualunque questi fossero, dovevamo fidarci della parola della presidentessa della Onlus senza possibilità di riscontro. Dunque, impedendoci qualunque controllo, noi fummo messi in condizione da non avere alcuna prova esibibile di eventuali scorrettezze. Certo, però, che ci pareva difficile giustificare l’inaccessibilità del conto se tutto si svolgeva correttamente.segue...

dal sito di stefano Montanari